Vecchio e nuovo mondo

L’emigrazione in Argentina e l’arrivo del Tango in Europa

abbraccio nel tango

Il tango nella storia

Ai primi del 900 l’Argentina veniva chiamata “il granaio del mondo” e l’Uruguay, “la Svizzera delle Americhe” per la ricchezza bancaria e il senso civico che vi regnavano. Si trattava di paesi poco conosciuti direttamente, dei quali si poteva soltanto favoleggiare: la comunicazione arrivava del tutto distorta e se ne aveva quindi la percezione come di luoghi esotici e tropicali, animati di donne perdute spagnoleggianti e pericolosi pistoleri.
Questi paesi erano allora invece all’avanguardia, e nella sola città di Buenos Aires c’erano più telefoni che in tutta l’Italia, più automobili che in tutta la Francia, e che si stava costruendo la prima linea della metropolitana con mezzi tecnologici furutistici e un dispendio di denaro più che ragguardevole.
In effetti anche oggi, nonostante le grandi possibilità di informarsi e la facilità a viaggiare, per l’europeo medio aztechi e maya sono assolutamente la stessa cosa e nessuno conosce le peculiarità dei vari paesi del Sud America, come del resto accade anche per l’Africa o l’Oriente: non sappiamo e non ci informiamo. E i latino americani guardano all’Europa come alla madrepatria, considerando marginalmente le proprie origini africane o autoctone.
Nel 1905 i bastimenti che portavano a Buenos Aires gli emigrati d’oltreoceano erano frequenti e con essi arriva in Europa la musica dei primi brani di tango, “La Morocha” e “El Choclo” di Angel Villoldo. C’è chi vede il business e ingaggia lo stesso Villoldo, musicista, cantante e ballerino, per incidere un disco.
I coniugi Gobbi, uruguayano lui e cilena lei, sono la prima coppia di ballerini di tango ad arrivare a New York e Londra, e Parigi.
Ecco che la danza e la musica del tango arrivano nel vecchio mondo, e sbarcano via via altri tangueros, per aprire scuole di danza e suonare.
Rispetto ai balli di coppia come il valzer, il tango è una novità assoluta: i suoi passi sono complicati, le gambe fanno evoluzioni difficili e si coglie subito che non si può imparare giusto facendo un po’ di esercizio, ma che bisogna proprio studiarlo. Ecco che diviene ben presto una moda fra i ricchi e dei nobili. Ovviamente i pareri sono discordi, perché sembra un ballo troppo lascivo e immorale. Ma se ne parla molto!
In Francia è una vera mania. Le signore della buona società imparano il tango da maestri ballerini durante i loro pomeriggi bon ton. Persino la moda ne resta affascinata, e inventa il “colore tango”, fra l’arancione e il salmone e la “gonna tango” con uno spacco sul retro, dal ginocchio in giù.
Nasce la famosa jupe-culotte dello stilista Paul Poirer, i pantaloni alla turca che ancora oggi si vedono indossati dalle ballerine, che favoriscono i movimenti delle gambe senza scoprirle troppo.

Emigranti italiani

ballerini di tango

Ballare tango

La costituzione argentina del 1853 favoriva l’accesso al paese di immigrati europei, nell’intento di farlo diventare uno stato europeo. Buenos Aires si riempì di immigrati, quasi tutti maschi, che in poco tempo triplicarono la sua popolazione, la maggior parte dei quali italiani e di famiglia povera.
Negli Stati Uniti si è arrivati a contare un emigrante italiano ogni sei/otto abitanti, a fine ottocento, ma in Argentina la percentuale era di uno ogni due.
Nel quartiere Boca, nella parte sud della capitale, sulla foce del fiume Plata, vanno a insediarsi i liguri, e l’edilizia stessa ce lo racconta: case basse, lamiere coloratissime e uno stile che richiama certi scorci delle Cinque Terre. I siciliani invece si radicano nella parte nord di Buenos Aires, creando il quartiere Palermo, con l’ippodromo che costituisce una delle attrattive principali.
Un altro 50% degli immigrati sono gli spagnoli, in particolare andalusi e galiziani, ed ebrei in fuga dai paesi dell’Europa dell’est.
In periferia nascono le fabbriche e l’espansione urbana fa si’ che si mescolino persone che prima erano separate. Gli immigrati si sentono fuori posto, e vivono nella nostalgia: cucinano, parlano, si vestono e cercano di vivere come facevano i loro nonni italiani e sono ossessionati dal “ritorno a casa”, che, spesso, sanno impossibile. Per renderla sopportabile, non rimane altro che ricostruire la propria identità localmente. Nasce il dialetto lunfardo, un mix di dialetti italiani e di spagnolo, parlato solo a Buenos Aires, che spesso si immagina come lingua della malavita, creata apposta per non farsi capire. Nasce il Vesre (reves), l’uso di deformare il linguaggio rovesciando le sillabe che compongono una parola in modo da trasformare ad esempio Japon in Ponja e Tango in Gotan. Questi linguaggi vengono abbracciati dalla cultura del tango.

I giudizi sul tango e la sua crescente fama in Europa a fine ottocento/ inizio novecento

Nelle normali scuole di danza installate dai sudamericani in Italia, le donne, per iscriversi alle lezioni di tango, sono tenute ad esibire un’ autorizzazione firmata dai relativi genitori o mariti. E le donne, quando ballano, vanno poi a confessarsi in chiesa! Monsignor Arnette, l’arcivescovo di Parigi, elevando una richiesta di condanna al Sacro Concistorio, lancia l’anatema contro quella danza indecente e lasciva, peccaminosa espressione della malavita, “esotica nel nome e nell’origine”, che Papa Pio X che, nel 1913, per verificare se si tratti davvero di una danza troppo peccaminosa, decide di convocare una coppia di ballerini . Non trova in quell’esibizione nulla di pericoloso per la morale, ma decide di raccomandare alle persone di ballare più che altro le danze italiane tradizionale.
Un giornalista di Rimini ipotizza che il tango faccia male alle signore, poiché, concentrandosi per ballarlo, assumono espressioni che le invecchiano precocemente.
Sta di fatto che tutti ne parlano!

All’inizio del ‘900 molte fra le più celebri canzoni vi si ispirano, con un cliché molto tipico, di violini di tipo tzigano. Basti pensare alla colonna sonora del film di Chaplin “Luci della città”. Anche nelle canzoni italiane si fa riferimento a donne di mal’affare collegate con questo genere musicale: Creola, del 1925, Tango delle Capinere, del 1928, Malafemmina, del 1951, Tango della gelosia, del 1933 ecc.
Persino Stravinskij mette un tango nella sua “Histoire du soldat” (1918), e Kurt Weill e Bertold Brecht fanno altrettanto nell’ “Opera di due soldi” (1928). E molti cantanti lirici si cimentano in questo repertorio, con risultati spesso discutibili…
I soldati della Prima guerra Mondiale lo ballano al fronte, al ritmo dei cucchiai che battono sulle gavette. E i musicisti e ballerini presenti sul territorio europeo si moltiplicano, e prendono Parigi a punto di riferimento. Lo stesso Astor Piazzolla diviene mondialmente noto grazie al suo soggiorno nella capitale francese, che ben si adatta al languore nostalgico degli immigrati sudamericani in Europa.
In Finlandia prende così piede che addirittura nasce un genere di tango locale.
Il fatto stesso che internazionalmente si dica “t come tango” per indicare in modo inequivocabile la lettera T, ci dà una visione chiara della fama enorme del genere musicale!
Dal 1996 i balli standard (valzer, tango, twist e slow-fox) e quelli latini (rumba, cha-cha-cha, pasodoble), entrano nelle Olimpiadi, a titolo sperimentale.

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