Un po’ di storia

Le origini del Tango Argentino

La nascita del tango (come anche moltissime altre cose, in una lotta campanilistica senza fine) viene disputata tra argentini di Buenos Aires, (porteños) e uruguayani (orientales).
La Reina del Plata, la regina del Mar del Plata è la metropoli, Buenos Aires, e non certamente la piccola capitale uruguayana, Montevideo, ma sulle origini del tango non ci sono certezze, ed è sicuro che molto hanno contribuito entrambe alla sua storia.

Non si può risalire alle sue origini  con grande precisione poiché il Tango è di certo una somma di molti elementi musicali e coreutici che si sono mescolati nel tempo.

L’unica certezza è che nasce a Buenos Aires alla fine dell’800 e fra i suoi progenitori si individuano l’Habanera, la Milonga, il Candombe, e forse il riferimento al Candombe era solo una presa in giro dei neri che ballavano le loro danze, fatta dai bianchi.

Verso il 1880 moltissime persone immigrarono in Argentina, paese enorme e con una densità di popolazione molto scarsa, alla ricerca di una condizione di vita migliore. Nelle periferie di  Buenos Aires il miscuglio di culture e di razze era enorme, e si trattava sempre di persone provenienti da vari paesi, con un grande senso di nostalgia, emozione che si sente fortemente nel tango.

Le prime volte in cui compare nella stampa la parola tango:
– Il 9 ottobre 1859, a Tucuman in Argentina, in uno spettacolo teatrale annunciato dal giornale argentino “El Eco del Norte”.
– Nel 1866, a Montevideo, quando fu ballato per la prima volta il tango El Chicoba, come afferma Vicente Rossi nel suo libro “Cosas de Negros”.
– Assai prima del 1862, secondo lo spartito di zarzuela più antico in possesso del collezionista argentino Bruno Cespi, intitolato El Reldmpago (“Il Lampo”), edito a Montevideo

Il mito del gaucho

Bernabé Simarra

Bernabé Simarra

Una figura chiave dei primordi del tango è il Gaucho, una sorta di cowboy solitario, personaggio poetico e mitico, con coltello e chitarra, vive nelle pampas, un misto di indio e spagnolo, mandriano e avventuroso, giunge in città, dove i cavalli, tutt’altro che liberi, forniscono forza motrice ai tram pubblici appena appaltati dagli inglesi, e prova un acuto senso di estranei­tà, non ritrovando gli elementi del suo mondo. Spesso, per reazione, diventa un Compa­dre, elegante, arrogante guappo di periferia facinoroso, ama la città, la vita notturna e la compagnia. Oppure diventa un Compadrito, il bullo sconclusionato, tutto chiacchiere ed esteriorità, che non si tira indietro se gli capita l’occasione di avere una donna da sfruttare.
Il personaggio del Gaucho “fa subito folklore argentino”, tanto che Bernabé Simarra, ballerino famoso e bravissimo, per “vendere” il suo personaggio in Europa, si traveste da gaucho, per dare alla sua danza, nata in realtà in città, un’aria più caratteristica, e guadagnarsi il pane con la ricca clientela dell’Hotel Excelsior del Lido di Venezia.

Il Tango e la Spagna

Uno dei primi tango scritti su pentagramma fu il celebre brano La Paloma, opera del basco Sebastian de Yradier (1809-1865). I marinai lo portarono a Cadice, città nella quale prende piede, soprattutto nel mondo della Zarzuela, opera di teatro musicale tipica spagnola, col nome di tango o, meglio, di tanguillo.

Il riferimento generico alla musica spagnola è di moda e viene sempre dato creando temi di Habanera, come la notissima aria della Carmen di Bizet “E’ l’amore uno strano augel” (1875), o la Rapsodie Espagnole di Ravel, del 1906.

Il Tango come genere flamenco, è ben diverso dal tanguillo operistico di cui sopra. Nessuno sa dire quali parentele ci siano fra i due generi musicali, e quale sia nato prima, nonostante i molti studi, ma resta chiaro che sono molto diversi fra loro, sia dal punto di vista della danza che della musicalità.

Una cosa è certa riguardo all’arrivo del tango argentino in Spagna: il compositore spagnolo Isaac Albéniz (1860-1909) è stato influenzato da quella musica nello scrivere i suoi bellissimi concerti di Tangos per pianoforte.

Il “tano”, l’italiano emigrato in Argentina

Non bisogna lasciarsi fuorviare da pseudonimi come Julian Centeya (all’anagrafe Amleto Vergiati), Hugodel Carril (Piero Fontana), Rodolfo Lesica (Rodolfo Alberto Aiello), Ray Rada (Raymundo Rogatti), Pepita Avellaneda (Josefa Calatti), Valeria Lynch (Maria Cristina Lancellotti) o Alba Solis (Angela Herminia Lamberti): i cognomi italiani nella storia dei protagonisti del tango raggiungono facilmente il 90 per cento, nonostante la percentuale di popolazione di origine italiana sia di gran lunga più modesta.
I titoli dei brani e i nomi d’arte di musicisti e ballerini spesso si riferiscono alla lingua italiana, e a volte i temi musicali sono ripresi da canzoni popolari italiane, care agli immigrati.

Anche il tango ha contribuito a diffondere lo stereotipo dell’italiano coi baffi, che beve e piange molto, che canta O Sole Mio mentre mangia spaghetti. In Argentina questo personaggio si chiama “tano”, italiano.

Compositori, strumentisti, direttori d’orchestra, ballerini, parolieri, gli italiani hanno dato al tango un apporto storico di grande rilevanza, partecipando in prima persona sia alla sua gestazione, sia alla sua evoluzione.

 

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