La Cumparsita, primo diminutivo gigante

Anche il tango ha il suo carnevale, che, come quello brasiliano del samba, coincide con la stagione estiva.

La sfilata dei carri allegorici deriva chiaramente dalla tradizione italiana, tant’è che è noto nel Rio de la Plata con un vocabolo addirittura italiano: il “corso”, ed è di stampo spagnolo il “tablado”, il palco alzato nei quartieri dove si aspetta l’arrivo del gruppo di avanspettacolo, la “comparsa” è il quadro vivente nero del carnevale bianco.
furca al posto di forca, cunta al posto di conta, funda al posto di fonda, e cumparsa al posto di comparsa. E’ anche la pronuncia dei neri, per fare il verso ali’ italiano; poco prima del carnevale, vanno in giro per le case del quartiere a chiedere “Una rnonedita pa’ la cumparsa”. Ecco spiegato il termine “Cumparsita”, che è invano cercare in un qualsivoglia dizionario spagnolo e che, quasi a simboleggiare il miscuglio di razze e di culture, diventa il re dei tanghi.
La Cumparsita nasce in ambiente studentesco, il che non è raro, perché ogni facoltà organizzava i balli di fine anno, sicura attrattiva dei tanghisti. Il grande bandoneonista Arolas, per esempio, aveva composto per la facoltà di Legge Derecho viejo, che si potrebbe tradurre “Forza Legge” (mai “Vecchietto arzillo” come qualcuno in Italia ha scritto e pubblicato) e fra poco comporrà, per quella di Medicina, Anatomia J 916. Nel carnevale di Montevideo del 1915, dunque, lo studente Gerardo Mattos Rodrfguez, detto “Becho”, scrive La Cumparsita per la sua Federaci6n de Arquitectura: un’ orecchiabile marcetta dedicata alla sfila­ta tradizionale. Deve passare ancora un anno affinché, nella veste defi­nitiva di tango, La Cumparsita debutti nel caffè La Giralda di Montevi­deo, sotto la bacchetta di Roberto Firpo, che già nel 1911 aveva composto e inciso La gaucha Manuela, un brano quasi identico. Mattos vende il brano alle edizioni Breyer per 50 pesos e 30 copie stampate dello spartito. Ma, al momento della pubblicazione si scopre che, a soli diciotto anni, l’autore non poteva prendere impegni di tale sorta. Colpo di straordinaria fortuna per il giovane Mattos che così recupera i diritti sul brano.
A rigore di quanto si insegna nel Conservatorio ai corsi di composi­zione, il brano non quadra: il primo motivo si svolge in quindici battute, anziché in sedici. Eppure, a dispetto delle sue irreparabili malformazioni, La Cumparsita è circolata nelle regioni più distanti del pianeta, ha percepito i proventi più sostanziosi, e si è incisa nella memoria come un archetipo, facendosi avanti col suo salto di settima e il suo caratteristico staccato non appena si pensa al tango in genere.
Fra i rioplatensi invece, forse per saturazione, non gode di altrettanto favore; una delle loro più comuni formule di scherno sentenzia: “Ma va che ti conosco meglio della Cumparsita”. Difficilmente la canterebbero o la fischierebbero nelle notti prolungate, camminando per la città. Inoltre, le si sono cucite addosso parole maldestre e antiquate. Pascual Contursi e Enrique Maroni hanno escogitato il testo “Si supieras” (1922) sulla falsariga di Mi noche triste” per raccontare che, da quando lei se ne è andata, lui sente l’angoscia nel petto, e domanda alla percanta (lei) cos’ha fatto del suo (di lui) povero cuore, e infine, come se fosse poco, rimasto solo sol etto, sarà abbandonato financo dal cagnolino. Mattos fa causa agli autori del citato testo, e la vince, non per ragioni estetiche ma perché nessuno lo aveva interpellato per chiedergli l’autorizzazione. Non soddisfatto, sette anni dopo la morte di Gardel, fa sequestrare le registra­zioni che ne aveva fatto il Divo. E perde, dovendo pagare risarcimenti agli aventi diritto. Nel frattempo però Mattos si era cimentato in proprio con un testo ancora più catastrofico: la cumparsa miserabile sfila attorno al malato che presto morirà di dolore, pentito d’aver abbandonato sua madre per un fiore di lussuria che, beffandosi di lui, l’ha lasciato per un altro; senonché, quando torna a casa per curarsi il cuore malato, gli comunicano che la sua vecchia madre è morta di freddo l’inverno scorso, ma non importa: ora tocca a lui di spirare sorridente perché sente che dal cleto la mammina buona l’ha perdonato. Ogni tanto si scoprono altre versioni non proprio memorabili a firma di illustri sconosciuti. Il tango l’CI’ antonomasia si è peraltro acclimatato in altre latitudini: sin dal 1937 circola un testo in inglese dovuto alla penna di alga Paul, che allude a una dama mascherata la cui identità viene scoperta da un cavaliere, e si intitola, appunto The masked one; i finlandesi l’hanno adottato dal p:imo momento per piangere “Soavemente nella notte” di inesausta passione; di questo passo, tutto lascia presagire che la versione in guarany incisa ncl 1993 da Betty Pafs non sarà l’ultima.
La Cumparsita resta comunque materia prima musicale atta a svilup­pare l’invenzione, in variazioni e arrangiamenti dove si esprime libera la fantasia. In questo non stanca mai.

Caminito, l’altro diminutivo gigante

Apparso nel 1923, Caminito” evoca gli arbusti e gl~ sterp.i di u~ sentiero di campagna. Dietro il diminutivo leggiadro del titolo SI cela Il grande tema del tempo devastante. Gavino Coria y Pefial~za, il par~liere: tiglio di un italiano e una spagnola radicati nel quartiere xenelse. di Buenos Aires, e il musicista, Juan de Dios Filiberto, nativo della provm­eia di Mendoza e vissuto in un paesino della campagna argentina, non intendevano scrivere tanghi, ma “canciones portefias”. Gli spartiti sono particolarmente attenti alle indicazioni agogiche e di~~miche (d~lo.roso, apasionado, ligado, credendo) scritte in spagnolo. Filiberto, definito da Borges “Quel paio di baffi che sta rattristando il Riachuelo”, fonderà l’Orquesta Portefia, che profitterà dell’auge del tango canci6n ma sarà
osteggiata per le sue posizioni sindacaliste di sinistra. .
In omaggio a questo brano celeberrimo, una strada del quartiere L~ Boca ha ricevuto a posteriori il nome di Caminito. Per il sollazzo del turisti. C’è però chi sprofonda in complicate sinestesie: “Si ripercorrono le strade di Buenos Aires e di Parigi, dove il tango diventa arte e letteratura, fino ad arrivare alle note di Caminito, tenero quartiere dalle case di tutti i colori, perché le prostitute venivano pagate anche con un harattolo di vernice, e ogni nave aveva un colore diverso” (articolo firmato, Il Messaggero, 12/11/1992).

Il tormentone del bordello

Parlare di tango senza parlare di meretricio è come descrivere la scala a chiocciola senza muovere a spirale l’indice della mano destra. Chi sarà stato il primo? Qualcuno, convinto di appartenere a una cultura superiore, ha scritto che le origini del tango erano postribolarie. Qualcun altro, dà il caso che fosse il poeta modernista alquanto reazionario Leopoldo Lugones, ha definito il tango “reptil de lupanar”. Un altro ancora, tanto per chiarire al volgo il concetto, ha precisato che i tanghi, nel casino, venivano creati, e non solo ballati (strisciando). Come se fosse poco, l’ultimo arrivato afferma che “II postribolo più famoso di tutta la storia del tango compare nella prima strofa di A media 11lZ*: Corrientes, 348, secondo piano, ascensore” (Euros, maggio/agosto 1993). Anche se si tratta di commenti gratuiti, sprezzanti e ridicoli, scripta manent. Hanno la penna dalla loro parte, e si continua a citarli lungo gli anni, attribuen­doli disinvoltamente agli autori più disparati. Nel farlo ci si gonfia con arie di sufficienza, e le salivali e altre ghiandole secernono, paghe.
Cataste di pubblicazioni che si intitolano al tango, in realtà si com­piacciono in fare circolare strofette pecorecce da caserma (per esempio, su come possono rovinarsi per il troppo uso le gonadi maschili). Anche lì, scripta manent, non manca mai l’imberbe represso che, spacciandosi per trasgressivo, le ricopia pari pari, e le diffonde. Nei casi di grave recrudescenza, ove il buon senso e il buon gusto non bastassero, si consiglia di ricorrere alla salutare indagine realizzata da Hugo Lamas e Vfctor Di Santo su questo punto particolare della “tango fiction”. Dopo un’esaustiva analisi sui rapporti della polizia relativi alle case di tolle­ranza, gli studiosi argentini rispondono che non risulta nemmeno un caso in cui vi siano implicati musicisti o ballerine, né alcun indizio che possa far pensare all’esecuzione in loco di canzoni o balli. Nell’inventario di case come quella di Maria la Vasca in calle Carlos Calvo, figura, è vero, il pianoforte, ma mai prima del 1905.
Il tango era già nato, fuori. E già circolava in “particellas” (spartiti per pianoforte o per pianoforte e canto), che si vendevano a dieci centavos l’una; brani come quelli di Villoldo raggiungevano una tiratura di cen­tomila esemplari. Sia detto senza offesa per alcuno: quale target era capace di giustificare questa tiratura? Gli ignorantoni del pentagramma che schitarravano con una mano e con l’altra porgevano il piattino? Le famose soprano che per mantenere l’incognito si alloggiavano nelle case chiuse? O i clienti del casino costretti a prodursi con pianoforti immagi­nari?
Per converso, non si registra alcun nome di creatore o creatrice di tango di bordello. Non sussiste documentazione che le case di Marfa la Vasca, Hansen, Laura, fossero case di prostituzione. Si sa in compenso che la casa di Laura, calle Paraguay 2512, si pregiava di avere una clientela selezionata costituita da banchieri, musicisti e grandi attori come Elfas Alippi, attratti dalle performances del pianista Rosendo Mcndizabal e di altri compositori e interpreti di grido che vi lavoravano per contratto. E’ notorio che in luoghi di intrattenimento come questi ci siano delle taxi-girl, ricercate dai clienti scompagnati per le loro qualità di brave ballerine. Se al di là della pista, del palco dell’orchestra, nei séparés, nei camerini o nelle stanze del piano di sopra avvenissero dei convegni di sesso, ciò non si può addebitare alla storia del tango.
Non confondiamo produzione con distribuzione. Una cosa è l’inven­zione, un’ altra la pratica, la circolazione.
Nessun testo di tango parla di “quilombo”, né descrive scenettaalcuna che alluda inequivocabilmente agli ambienti del sesso mercenario. I ritratti del bullo con vocazione di prosseneta risalgono soprattutto agli anni Venti e lì si fermano; il termine milonga con intenzioni spregiative nei riguardi della donna, viene pronunciato rare volte, quasi di sfuggita iAcquaforte”, Milonguita, Mutieca brava*). Peraltro, nei testi vige un tabù sulle parolacce in genere, figuriamoci su quelle con connotazioni sessuali. Esistono però alcuni titoli che si imperniano sui doppi sensi: non testi di canzoni, ma solo titoli; non parolacce, ma doppi sensi.
Si tratta di brani puramente strumentali, il più delle volte andati perduti. Musica volant. Picareschi, giocosi, improntati ai detti e alle macchiette popolari, come Pianta piojito que viene el peine (“Scappa pidocchio che viene i I pettine”), di Ernesto Fornarini, musicista classico. E’ normale che si giochi sulla parola “tocar”, che in spagnolo significa toccare e suonare: Tocamela que me gusta (in qual caso, la dessinenza al femminile corrisponde al maschile). Si scherza sui passi del ballo e le trovate coreografiche: No, seiiora. va)’ torcido (“Nossignora, vado stor­to”), Che, sacdmele el molde (“Senti, fammene un calco”). Un titolo però, Dame la lata (“Dammi la marchetta”), che sinora ha avuto un’interpre­tazione univoca a luci rosse, per via del ruffiano che reclama alla tenutaria del casino la percentuale dovuta alla sua “pupilla”, potrebbe meritare invece altre interpretazioni plausibili. Per un “esquilador”, mestiere comunissimo in quelle latitudini, “lata” è il gettone che riceve come comprovante per ogni pecora tosata; per chiunque conosca la lingua spagnola, “dar la lata” significa “attaccare bottone”, detto di persona fastidiosa, noiosa, che blocca gli altri con discorsi inutili. Dunque, Damela lata riferito esclusivamente alle prestazioni sessuali non sarà un
wishful thinking? ‘
Un tango che il pianista Manuel O. Campoamor scrisse nel 1901. La Cara de la Luna (“La Faccia della Luna”), è il titolo eufemizzato di La Cotorrade la Lora (“La Cocorita della Pappagalla”), allusione all’ organo femminile in versione per educande, che comunque viene abitualmente indicato con le sole iniziali, La c. .. de la L.; nessuno osa scriverlo o pronunciarlo con tutte le lettere, poiché, anche se può sembrare impos­sibile, la liberalizzazione del linguaggio portata dal Sessantotto non è ancora penetrata negli ambienti debosciati del tango. Siete palabras (“Sette parole”), versione espurgata di Siete pulgadas (“Sette pollici”), che senz’ altro si riferiva a un attributo intimo misurato in erezione, batte un altro curioso record: all’ atto di percepire i proventi, ben cinque musicisti si sono dichiarati aventi diritto. Altri titoli, del tutto precari, ne imbastiscono doppi sensi col rullo del pianoforte meccanico, come Metele el rollo a la vieja (“Mettile il rullo alla vecchia”) o Encajale el Choclo (“Dagli dentro con la Pannocchia”).

Se la pannocchia di mais fosse cubica

Se “el choclo” fosse cubico, nessuno lo assocerebbe al membro virile. In una serie di programmi radiofonici (Radiouno. 25/4/1993) i conduttori chiedevano la complicità dell’ ascoltatore nel fare di ogni erba un fallo. Dicevano gli egregi signori: “II titolo El Choclo la dice lunga sugli ambienti in cui nacque il tango”. Quali ambienti, di grazia? Le piantagioni di mais? Non starete confondendo con la truce scena suddista descritta da Faulkner? E il caro Satchmo, che si divertiva tanto a suonarlo con la tromba e a cantarlo tradotto in inglese, siete certi che abbia avuto i vostri stessi pensieri?
Altra falsità messa in giro dai monomaniaci del sesso. Ormai tutti sanno che il fortunatissimo tango di Villoldo si chiama così in omaggio a un amico del compositore, frequentatore delle strade Junfn e Lavalle di Buenos Aires, che si era meritato tale nomignolo per un suo particolare fisico ben più connotativo, ecioè il colore e la foggia dei capelli: un ciuffo biondo, appunto, come “la barba de choclo”. Enrique Santos Discepolo, infatti, quando anni dopo rivestirà di parole El Choclo”, farà del ritratto musicale puro di Villoldo un ritratto del tango in versi lodativi. Niente turpiloquio né strofette pornografiche, perché, sia detto con la massima comprensione per la funzione l iberatori a di queste attività linguistiche, i testi di tango ne sono refrattari. Discepolfn fa testo.

Il mate non è alcol né cocaina

Agli occhi esterni, il tango sembra avere il potere di demonizzare ogni cosa. Qualcuno l’ ha definito “mondo dei disperati ubriachi di mate e della pummarola” (La Repubblica, 29 dicembre 1990). Senza volere entrare in merito ai sughi napoletani, per il mate, invece, s’impone una sia pur minima difesa. II mate, detto anche tè del Paraguay o tè dei Gesuiti, è un infuso che si ricava dalle foglie essicate di yerbamate; si mette dentro un recipiente, chiamato ugualmente mate, fatto con una zucca svuotata; ci si versa sopra l’acqua bollente e si sorbisce con una bombilla (cannuccia filtro) di argento. Più inoffensivo del tè, il mate appartiene alle consuma­zioni leggere, diurne, familiari. Con lo zucchero per i bambini, “cimar­ron” cioè selvaggio per gli adulti. Molti testi ne parlano: come cerimonia della ruota di amici, El bulin de la calle Avacucho”; come offerta della donna al risveglio del suo uomo, La Morocha*; come pensiero gentile dell’uomo che porta biscottini alla sua donna, da prendere col mate a merenda, Mi noche triste”; come peculiarità argentina capace di conqui­stare al pari del tango, Madame Yvonne*; come segno di miseria, il non avere neanche fondi vecchi di yerbamate da riciclare, Yira yira”; come odore che fa parte della memoria collettiva della città, La Cru; del Sur”; come colore confuso nel ricordo di un amore perduto. Yuyo verde*.
Tranne che col mate, il tango lascia capire che ci si può sbronzare con tutto, spesso e volentieri. Anzi, daLa Copa del olvido*, a La Garçonniè­re* e La ultima curda*, è un vero e proprio incitamento a sdilinquire tramite alcol. L’emigrante italiano si contenta del vino a buon mercato:
La Violeta”, Tinta roja*; l’avventore di Tomo y obligo* beve in compa­gnia per festeggiare lo scampato pericolo di non avere ammazzato la donna; le coppie di Las Mareados* e Por la vuelta* annegano l’addio nelle flutes di cristallo; il solitario di Tal vez seni su voz* dà la stura alla bottiglia e ai fantasmi. Accanto all’alcol e ai superalcolici, il tango non esita a propagandare gli alcaloidi: A media luz*, possiede coca in quantità immoderate; Tiempos viejos* dice che i ragazzi di allora non conosceva­no la coca né la morfina, ma sta mentendo spudoratamente dato che, nel tango a fianco, la povera Griseta* ci ha rimesso la vita. Comunque, il mate non è alcol né cocaina.

Danza e canzone

Scusi. ha detto coppia o copula?

Dire che il tango è un “ballo sensuale”, altro luogo comune che circola con incallimento, equivale a liquidarlo senza fare il minimo sforzo per capire l a sua diversità, il suo mistero. Anzi, si punta ogni sforzo a condire lo stereotipo: “nel ballo simulano gli accoppiamenti più spinti, cantando in lunfardo la loro voglia di sesso, che è la voglia assatanata dei loro padri” (Giornale di Sicilia, 1 febbraio 1987). Si arriva a definirlo “coito coreografico”. I più vecchi incalzano assicurando che si usava ballarlo nudi come lombrichi; “in alcuni posti”, messi alle strette, precisano, ma forse intendono riferirsi ai letti a baldacchino. Anche del valzer si era detto che era una danza sensuale, anche dell a lambada lo si dirà. Troppo poco.

Il corpo si esprime

Danza, espressione senza parole attraverso la quale si comunica con tutti, al di là delle barriere linguistiche. Festa arcaica dalla capacità tcrapeutica, prova esistenziale, scoperta della propria profonda natura. Niente più tracce di calenda, bambula, candombe, country dance inglese, contraddanza francese, scomparse nella fusione. E’ nato il tango, prodot­lo nuovo e originale.
Il primo teatro è la strada di periferia delle capitali del Plata, terra battuta, marciapiedi sconnessi. I primi che lo ballano, non lo fanno per scimmiottare qualcuno più in alto nella scala sociale, non agiscono da subalterni. Hanno trovato un modo di affermarsi con il corpo in questo luogo mutevole, in questa città in piena crescita. Una forma espressiva che finalmente li rappresenta, che li fa sentire vivi. Subito però i passi scivolano sui parquet e i marmi dei saloni della classe alta. Vecchie immagini ingiallite documentano che, sul finire dell’Ottocento, lo balla­vano sia gli straccioni, sia il signorotto e la dama con la penna di struzzo, perché la danza è gioco imitativo, si diffonde dappertutto, scavalca qualsiasi frontiera.
Nei veglioni di carnevale del 1904 si balla il lango a profusione nei grandi teatri di Buenos Aires come l’Opera, il Politeama, l’Argentino, il Marconi, l’Apolo, il Victoria, il Nacional. Più celebri ancora i veglioni montevideani del Teatro Solfs, del Parque Hotel, dell’Hotel Carrasco, frequentati dalla aristocrazia. Parallelamente si coltiva nelle associazioni degli emigranti come la Colonia Italiana, la Uni6n Ciclfstica Italiana, Il Trovatore, Pompieri Stella d’Italia, la Guarda e Passa. Secondo quanto affermano i documenti d’epoca, sin dalle origini. nelle balere della strada Corrientes, per l’inlluenza delle ragazze italiane che male si adattavano alle figure. all’ elasticità e al dimenìo del tango, si coltivava parallelamen­te il “tango liso”, semplice. Entrambi gli stili saranno coesistenti, con prevalenza dell’uno e dell’altro a seconda dei luoghi, delle mode e del gusto dei ballerini, siano essi professionisti o no.
Ciascuno ha il diritto di ballare a modo suo. Nei saloni europei dominerà il tango in stile british, creato da Phyllis Dave nel 1913; si caratterizza dai passi rapidi e dai movimenti a scatto della testa dei ballerini, in risposta alla coreografia stabilita dalle gare internazionali, ma che non tiene conto del vissuto né degli elementi originaI i della danza rioplatense. Versione europea “alla crema Chantilly”, come ben presto la qualificheranno per burla laggiù. Ciascuno ha il diritto di criticare chi cambia i connotati a una propria forma espressiva.
Gli archivi conservano foto di uomini compunti, che si esercitano tra loro nel ballo, in attesa che la fortuna li metta di fronte a una donna. E’ un ballo complesso, occorre impratichirsi. Ogni quartiere ha il suo stile, e lo difende. Iniziazione vera e propria al tramonto, sotto i lampioni a gas. Uomini ingombrati da cappotti e lengue (sciarpa) per difendersi dal freddo umido delle notte invernali, con alpargatas (scarpe di pezza), e fungi (cappello a bombetta) di immancabile uso all’aperto. Nel gruppo c’èchi fischia o canticchia le brevi melodieorecchiabili. C’echi le esegue soffiando sopra un pettine foderato di cartina da sigarette o carta stagnola: sembra il suono della tromba. Nel migliore dei casi, si fa affidamento sul trio itinerante formato dalla chitarra, il flauto e il violino, o dall’arpa rustica, il clarinetto e il violino.
Nessun equivoco in questa danza bizzarra di soli uomini, anche se un editto del 1916 del comune di Buenos Aires la proibisce col pretesto di intralciare la circolazione. Qualcuno ha parlato di omosessualità latente. In verità, per saper guidare, l’uomo deve essere molto attivo e volitivo e rispettare il ruolo della donna, riconoscendone potenzialità e limiti.  E viceeversa la donna, assumendo la parte dell’ uomo, si impossessa di un codice che non potrà non rispettare. Anche se non vuole  confessarlo, nessun uomo impara l’abbiccì nella milonga, non rischia di fare una magra figura: quando decide di uscire sulla pista con una donna vuol dire che si sente preparato. Così, ancora oggi, sia nelle scuole specialistiche, sia nelle “practicas” presso le case private, ci si esercita uomini con uomini, donne con donne. Tema accattivante quello della coppia formata da persone dello stesso sesso, che non per nulla è stato raccolto ed elaborato dai migliori coreografi, e che il cinema ha tramandato in immagini di sicuro impatto.
L’ eleganz.a, la classe, il portamento, ecco le qualità richieste ai b~lefInJ: ‘~ dice ~na. dozzina di testi (ASI se balla el tango*, El Trompi­t~, ), e lo dl.cono .1 mJlongueros, persino quelli che frequentano le balere piu s.cadentl. .Essl escludono, peraltro, che il tango sia un ballo triste: lo c~nslderano Invece un grandissimo divertimento, un piacere insostitui­bJl~. Fate caso alla musica, dicono giustamente, soprattutto a quella per s.oh stru~e~ti nat~ apposta per essere ballata: è allegra, veloce, piena di ntmo e di vita. Tristi sono le parole. “Triste es el cantar”, che diamine!
4.3 Paragone con le altre danze di società
Nei pri~i an~i del secol~ i balli internazionalmente in voga sono: il valze: austr~ac~, Il boston e Il cake walk nordamericani, la polka unghe­~ese, Il ch,?tlS lituano, la :edowa ceca e la mazurca polacca, ribatezzata ranchera n~1 Sudamenca: Più tardi si faranno avanti l’ one step, il fox-troj, lo shimmy, la rnaxrxe brasiliana.
. II ta~go rioplatense presenta pochissime analogie con le altre danze di COPPIa unita. Una è certa, anche se molti ancora la ascrivono al “cara~tere maschilista del tango”: è sempre l’uomo che guida. Perché proprio la d~nza dovr~bbe ribaltare le leggi della società patriarcale? Accordo tacito, semplice norma di circolazione, che conviene a tutti. Altra analogia risiede nella posizione di partenza, quando i ballerini si c~n~an? uno di fronte all’ altro, lui passa il braccio destro dietro la vita di lei, lei poggia la mano sinistra sulla spalla di lui, e si cercano l’altra mano per stnngerla. Da lì in poi, tutto lo rende diverso.
N~n basta seguire il tempo e lasciarsi portare dalla melodia. Anche armati de~la ~igliore ?uona volontà, non ci si può lanciare sulla pista e balla:l,? di primo acchito come si fa con le altre danze di società. Questo non e un lento da mattonella”, bensì un esercizio di concentrazione, di
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virtuosismo, e a volte di alta acrobazia. Le domande a scopo conoscenza personale e i tentativi d’approccio conviene lasciarli per dopo, pena I’immobilità forzata e goffa, l’irreparabile pestone. Non ci si deve guardare negli occhi, per non distrarsi, o forse perché è duro reggere lo sguardo dell’altro così vicino. Nemmeno bisogna guardare il gioco dei piedi perché cosa da principianti. Le mani allacciate, all’altezza delle spalle del più bassodi statura. I busti sempre eretti. Vietati i dorsi di donna rovesciati all’ indietro, testa in giù, capigliatura fluente verso il pavimen­to: il famoso “casquet”, contrabbandato come vocabolo tecnico balletti­stico, fa pensare allo zampino dell’italiano rimasto in patria. Chi ha compiuto la traversata oceani ca, infatti, sa che laggiù il casquet è una figura inessenziale da eseguire come semplice citazione europea o hol­lywoodiana.
Le varie coppie, nel tango rioplatense, non sono tenute a procedere in maniera uniforme attorno alla pista; per qualsiasi altro ballo di sala, invece, vige la regola internazionalmente codificata di muoversi in senso antiorario. Divergono anche nella partenza: qui l’uomo parte col piede sinistro, e la donna, simmetricamente, col destro, anche se questo ha perduto il valore tassativo,
Il tango è una danza libera, vale a dire, non risponde a una coreografia fissa. Gli manca il “passo base” regolare e uniforme, come potrebbe essere il passo a dondolo del tango europeo. Gli manca il “passo di cambio” per sostare e rilassarsi in attesa di passare a prestazioni più impegnative: qui l’impegno è costante, anche da fermi.
Per chi balla il valzer non fa differenza, dal punto di vista tecnico dei passi, che si suoni “Nel blu Danubio blu” o “Sangue viennese”, né che a interpretarli sia una banda dilettante o la grande orchestra sinfonica di capodanno. Qualcosa di simile avviene con altri ritmi ballabili: non ci si formalizza troppo sul brano scelto, né sugli interpreti. Invece per chi balla il tango è molto diverso farlo sulle note di Papas calientes o quelle di Yuyo verde*, sulle versioni del duo Troilo e Grela o sulle orchestre di Fresedo o Pugliese. Quel tango in particolare, quel dato complesso che lo suona, suggeriscono lo stile e la sequenza dei passi.
Contrariamente agli altri balli, in cui spettano all’uomo, per dovere cavalleresco, i passi all’indietro, qui è la donna che retrocede. Perché? Finora si è pensato che ciò ubbidisse all’ antica norma di lotta, che impone all’ uomo di guardarsi alle spalle. Come nella bambula negra fatta di finte e attacchi, come nella pizzica pugliese che simula la lotta col coltello, l’uomo tiene ogni cosa alla portata del suo sguardo, senza offrire la schiena all’avversario. Le ragioni però sono meno suggestive e interessano il funzionamento del ballo: siccome l’andamento delle altre coppie non risponde ad alcun ordine prestabilito, chi conduce deve tenerle d’occhio sia per non scontrarsi con loro, sia per profittare dello spazio rimasto libero e comporre la sua sequenza di passi. Esiste quello che, brutalmente, si apre un varco fra gli altri a furia di “mujerazos” (donnate). Ma il fatto che, consapevolmente o no, tanto il ballerino comune come il professionista in scena non eseguano più di un passo all’indietro, e questo solo come passo di servizio per poter cambiare posizione, fa pensare a un particolare stilistico di una tale specificità, che una ricostru­zione filologicamente seria del tango non può permettersi di disattendere.
Una caratteristica importantissima rende diverso il tango dalle altre danze: i ballerini invadono lo spazio del proprio partner, gli bloccano o gli spingono un piede, lo sgambettano, lo costringono a intrecciare le gambe o ad aprirle. Inoltre, senza sciogliersi dall’abbraccio, possono trovarsi a eseguire isolatamente delle figure, spaiati, in un continuo attirarsi e respingersi. Oppure restare fermi mentre l’altro è al massimo della mobilità. Infine, indipendentemente da ciò che li circonda, le coppie del tango ballano concentrati sulla propria esecuzione. Percorso originale fatto di accelerazioni, come le immagini di un film viste a passo veloce, che di colpo si arrestano; procedere incidentato da scissioni e svolte subitanee, andamento “por cortes y quebradas”, cioè per tagli e torsioni, per pause e mutamenti di direzione, per fermate improvvise e riprese inaspettate.
4.4 Le figure specifiche
Padrone vigile dello spazio circostante, l’uomo decide la sequenza da dare alle varie figure. Comunque, non fosse altro che per uscire di fianco ed evitare così di scontrarsi con gli altri ballerini, ogni coppia deve avere imparato a eseguire qualche figura. Si tratta di una trentina di passi tra cui si distinguono:
La Salida basica, uscita divisa in otto passi o movimenti. La Corrida, che non ha nulla in comune con la tauromachia: una corsa precipitata, di fianco, in cui i due ballerini procedono (come nella promenade) nella stessa direzione. El Paseo, passeggiata anch’ essa di fianco ma con colpo iniziale dei piedi. La Media Luna: lui avanza incrociando i piedi alterna­tamente mentre descrive un semicerchio sul pavimento, oppure da fermo, usando il piede come pennello per disegnare una mezzaluna, oppure camminando fino a completare il disegno in questione. El Ocho: la
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hnllcrina, agendo sui fianchi, disegna il numero otto sul pavimento Iucrociando un piede davanti all’ altro, facendo perno sull’avampiede. El \ ‘1I/t(‘O (azione di rovesciare), una sorta di casquet. La Marcha, avanzare Nl’lIlplicemente camminando. El Crurado o Traspié, i.nvertendo il p~ral­h’l ismo dei piedi, che si dispongono specularmente f1Sp~tto a. quelli de~ pnrtncr. El Calambre, finto crampo di lui per da~e ~aggJOre nsalto a I~I vun una figura speciale. La Media Vuelta, cambio di fronte a 1.80 gra?I.
,’!!}(/SO atrds, un passo di lui all’ indietro, oppure, flett~ndo un gl~OCChlO, l’Oliando il peso del corpo indietro, come per ~eder~I. El Ab.an/co o El , dpi; (ventaglio o matita): mentre la donna gira, I uomo disegna ~on l’uvampiede un ventaglio o un sei. El Balance: al ter~o passodella ~~Ida l’Uomo blocca la donna, che rimane ferma con tutto Il corpo m posizione ohliqua, e il torso dolcemente appoggiato a lui. El R~troceso, la I.n~rcia Indietro: appena un passo indietro dell’uomo, che gli permette di ntro­varsi da capo allaSalida. La Lustrada (lucidata): mentre ~adon~a pr?cede a piccoli passi attorno all’uomo, questo, su un solo piede.sì lU~lda l~ scarpa col retro dei pantaloni; trattasi di un corte che n~hIam~ I gesti sopra le righe degli antichi guappi. El Alfajor o La Mordida (bls~ott? a due strati, morso), ribattezzato per ragioni di copyright El Sandwichito: i due piedi di lui “mordono” un piede a lei. La Sentada (seduta): nat~ dapprima come una fermata, col ginocchio destro piegato sulla gamba d~ lei, ora diventata un sedersi vero e proprio; la donna passa davant~ ull’ uomo girando a 180 gradi e finisce per sedersi sulla gamba destra di Ili i che aveva cali brato ogni movimento per accoglierla opportunamente. Hl ‘GancllO (gancio): passare una gamba piegata a 90 gradi, a mani era. di uncino, fra le gambe dell’altro; movimento rapidissimo, incisivo, subito I icomposto; questa figura probabilmente deriva dallo sgambetto ch~ rnratterizzava la danza “La Buena” dei negri, vero corpo a corpo di comparse rivali per esporre il valore del proprio escobero o del ha~hero. , . .’/ Cuadrado, otto passi destinati a descrivere un rettangolo sul pavl~en­lo. La Cadencia, così chiamata da Juan Carlos Copes: lui retrocede di un passo col piede destro aprendosi di 45 gradi, lei avanza col ~in~tro: entrambi incrociano l’altro piede e così una terza volta, dopodiché lUI taglia la figura con un passo al fianco. La Cunita (cuJl~): entrambi gira~o sullo stesso primo passo della Salida, senza spostarsi da un ~en.tr~, e.m senso antiorario. El Boleo (il lancio delle bocce): lui appoggIa I piedi e guida lei come per farla retrocedere col piede sinistro, ma, improv~is~­mente, le taglia il movimento col braccio; lei, di conseguenza: la~cla m aria il piede che le è rimasto alzato, piegando lag~baa 90 ~rad~. L uo~o accosta il piede mentre lei, imprimendo una torsione alla VIta, appoggia il p~ede incrociando!o davanti all’altro. Sarà utile paragonare questo particolare coreografìco del tango, così insinuante e fatto subito rientrare nell’ armonia generale, col charleston, che lo usa di fianco e con frenetica ripetitività.

Altri balli compagni di strada
Oltre al. ta,~go, i I ~epertorio delle orchestre “tfpicas” comprende la nlllong~ e Il vals criollo”, balli anch’essi di coppia unita che però, contranamente alloro congenere, si danzano con un passo base uniforme regolare,. arricchito da qualche variante presa in prestito dal tango. ‘
La milonga sta al tango come la polka sta al valzer: con brio saltellante si cammina e si gira, aggiungendo qualche agile figura come la sentada e la lustrada, da realizzare in modo displicente e ironico. Si usa dondolare di fianco e circondurre le spalle caricaturizzando la camminata del vecchio guappo di periferia. Spesso la si vede ballare separati, ciascuno tenendo le m~ni. allacciate dietro di sé, e con la fronte attaccata a quella del partner; SI dice che questa figura sia stata inventata da Tita Merello per nascondere al pubblico lo spacco della gonna che le si era scucita.
Il vals criollo non si danza come il valzer viennese, ma come “vals cruzado” (incrociato): invece di muoversi intorno alla pista, la si attra­versa, a croce. Senza portare un piede contro l’altro, si avanza come nella marcia, sempre camminando, l’uomo in avanti, la donna indietro. E, dato l’andam~nto veloce della musica, ogni passo viene scandito sul primo tempo di battuta; anche le battute si attraversano, dunque.

Un componibile simbolico

Come un prodotto componibile, modulato, a incastri, suscettibile di soluzioni diverse e imprevedibili, le combinazioni sono infinite. Per esempio, l’Otto può essere intenotto in qualsiasi momento concatenandolo all’inizio o alla fine di un’ altra figura, senza soluzione di continuità, secon.d? l~ padronanza tecnica e l’estro dei ballerini. Tuttavia, queste descrizioni sono incapaci di esprimere la straordinaria suadenza del tango, quando tra i due esiste quell’ alleanza rigorosamente silenziosache si chiama “afinidad”, quella compenetrazione non comune che qualcuno ha paragonato alla transe ipnotica.
Ormai le occasioni ci sono. Chi, libero dai soliti cliché, vuole accostarsi al tango, presenzierà una cerimonia rara che sembra mimare l’ approccio del felino, lo strisciare del rettile, il guizzo del pesce, la lievità dell’ uccello. Due opposte individualità, equivalenti e interscambiabili. I due, avviticchiati e divisi, eseguono figurazioni difficili con una sorprendente sincronia carica di tensione e languore, di prepotenza e morbidezza. Qualcosa di simile al sesso, non tanto nei gesti, ma nel senso: conoscenza dell’altro, interazione, parità, godimento. Mentre ballano, imparano a ha Il are. e così si plasma la coppia danzante. In pochi minuti rapinosi una possibilità di intesa, una comune porzione di felicità. La coppia del tango probabilmente simboleggia gli impervi percorsi, l’intesa fugace e irripe­tibile della coppia umana.

Ballerini e coreografi

Tra i primi ballerini, la storia assegna a José Emilio Bianquet (1885­1942) il posto più rilevante. “El Cachafaz del Abasto” (Furfante dei Mercati Generali), tale era il suo nomignolo, si vantava di avere avuto l’ome allievi ambasciatori, senatori e ministri. Per la fantasia delle sue invenzioni coreografiche e per la prodigalità della sua esistenza, El Cachafaz diventa subito leggenda. A lui è intitolato, fra gli altri, il tango El Apache argentino. Nella commedia musicale “La Historia del Tango” impersonerà la parte di se stesso, e il destino gli riserverà la morte di Molière, facendolo uscire di scena in un teatro gremito di Mar del Plata.
Dopo i grandissimi Casimiro Afn e Bernabé Sirnarra, che hanno stupito il pubblico europeo col loro stile impeccabile, si ricordano altri nomi come Santillan “El Pardo de Palermo”, José “El Tarila” Giambuzzi, “El Negro” Pavura, Sergio “Saco largo” Sànchez, Juan “Congreve” Mendieta. E soprattutto i migliori attori teatrali del momento, che sape­vano essere al tempo stesso eccezionali ballerini. Tra questi, Alfredo Camifia, Elfas Alippi, Carlos Morganti, César Ratti e Tito Lusiardo, amici stretti di Carlos Gardel sin dal 1925; quando, dopo le loro serate in teatro si ritrovavano tutti insieme al Palais de Giace e altri locali notturni, anche Gardel, vedendoli cimentarsi sulla pista, li applaudiva ammirato.
Negli anni Cinquanta il tango come ballo subisce un processo di semplificazione, di unifonnizzazione, di spersonalizzazione. Si sfolti­scono i cortes, si frena l’inventiva. La festa vuole altri ritmi, altre emozioni, pochi badano alla sua presenza, e quasi nessuno noterà la sua assenza quando, intimidito, scapperà via dalla porta di servizio, alla chetichella. Torna alle origini, alle practicas, alle feste di famiglia dei quartieri popolari, a reimparare dai vecchi. E a studiare, a frugare nelle radici, a trovare le motivazioni interiori. E solo quando si sentirà pronto riapparirà, facendo irruzione. Ciò avviene agli inizi degli anni Ottanta, grazie a uno spettacolo di Héctor Orezzoli, laureato in psicologia e lettere, Claudio Segovia, pittore e scenografo, con la direzione musicale di José Libertella, compositore e bandoneonista, e le coreografie di Juan Carlos Copes. Quando “Tango Argentino” si presenta a Broadway nel 1983, settant’anni dopo Parigi, la nuova capitale dello spettacolo lo accoglie con un successo folgorante e lo proietta in giro per il mondo. Nemo profeta in patria: Buenos Aires lo richiama alla festa, aprendogli la porta principale, solo dopo nove anni di successo internazionale.
In questa svolta decisiva per la danza emergono i più grandi. Juan Carlos Copes e Maria Nieves, Gloria e Eduardo (all’anagrafe Julia Barraud e Eduardo Arquimbaud), Mayoral e Elsa Maria, Carlos e Inés Borquez, Marta del Carmen e Carlos Rivarola, M6nica e Luciano, Norma e Luis Pereyra, Pablo e Carolina, Cecilia Narova come solista. La professione di ballerino di tango si colloca ben presto fra le primissime posizioni. Cinema, musical, performances e stages d’insegnamento nei paesi più impensabil i e nei contesti più diversi. Antonio Todaro, maestro dei maestri. Elvira Santa Marta, in coppia con Jorge Martin Orcayzaquir­re, “Virulazo”, ballano accompagnati nientemeno che dal chitarrista Andrés Segovia; i sandali di copale di lei, con due lacci incrociati sul collo, made in Japan, si venderanno col nome di “Elvira”. Le mattine, il Parco Dijan di Pechino vede alternarsi la pratica dci tai chi chuan a quella del tango, al suono dei walkmen, e secondo lo stile impresso dai vari artisti rioplatensi di passaggio. Pedro Alberto Rusconi, “Teté”, viene chiamato a Wuppertal da Pina Bausch per istruire i suoi danzatori. Jorge e Aurora, “los Firpo”, e ancora Gloria e Eduardo, tra Parigi e Tokyo, dallo schermo alla ribalta. E si irradiano negli Usa, in Canada, nei Caraibi, in Africa, in Spagna, in Finlandia, in Germania, in Belgio, in Italia, nei “Trottoirs de Buenos Aires” di Parigi, seconda patria anche questa volta, che cattura un Coco Dfaz e sua moglie Bibiana, un Anfbal Pannunzio e sua moglie Maguf Danni, capaci anche di ballare il malambo con speroni e boleadoras. Pablo Ver6n e Gisela GrafMerino si producono in Quejas de bandone6n di Juan de Dios Filiberto, in “Fous des Folies”, il musical di Alfredo Arias in scena a Folies-Bergère nel 1993. Rodolfo Dinzelba­cher fa scuola alle nuove generazioni di ballerini, quasi tutti con trascorsi ballettistici. Carmencita Calderon, la compagna del “Cachafaz”, ultrano­vantenne, come se il tempo si fosse fermato, non risparmia occasione di mostrare il brio e la leggerezza del suo stile “zapateadit?”. Tra i.più giovani, il “Tango por dos” di Miguel Angel Zotto, ?l formazione popolare, e Milena Plebs, proveniente dalla danza classica. Orl~ndo e Brigitte, del gruppo “Tango por tres”, con sede a M~ntreal. ~leJandro Aquino, partito dal balletto di danza classica del Colo?, partec.Ipa come unico ballerino, in coppia con Vanina, nelle tournees per Il mo?do dell’orchestra Pugliese, è invitato dalla compagnia T~ngo Ar~ent~no, finché si stabilisce in Italia creando, insieme alla veneziana Man~~hlara Michieli, la compagnia Tangueros e svolgendo parallelamente un ìntensa attività didattica internazionale. Tra i giovanissimi, i fratelli Gabriel e Sebastian Missé, con compagne teenager. Ernesto Carmona ricercatore certos~no ~el passat?, aperto però a ogni elemento nuovo, ~ropugna la partecipazIOne creanva da parte degli allievi; insieme a Norma Gérnez Tomasi. Pedro Monteleone, oltre quarant’anni di ballerino professioni­sta, sulla pista del Club Almagro, fa da maestro alla rock star Madonna che si trova a Buenos Aires per impersonare il film su Eva Peron. Pepito Avellaneda (cognome tratto dalla zona “conurbana” di Buenos Aires), che da ragazzo doveva travestirsi da Cantinllas per vincere la timidezza nei balli di carnevale, all’età di sessant’anni celebrerà le nozze d’oro con la danza, e sarà invitato in ogni dove; Pepito si spegne nel 1996, poco dopo avere insegnato, in uno stage a Torino, i segreti del tango soave, “scivolato”, senza l’ansia di farcirlo di figure complicate.
L’alternativa rimane: ballo semplice o spettacolare, acrobatico? Op­pure, con riferimento alla professionalità: tango improvvisato o coreo­grafato? In quest’ultimo si esplicano i protagonisti del balletto, come Ana Itelman con il poeta Fernando Guibert, e Oscar Araiz con musica di Piazzolla, Rovira e Stampone. Maximiliano Guerra danza “El refiide­ro”( 1990), basato sull’opera di Sergio De Cecco. Julio Lépez crea lo stesso anno “Dos mundos” per il danzatore Julio Bocca e il Ballet Argentino.
Tra i coreografi stranieri si ricorre sempre più spesso al tango, pura citazione in alcuni casi, riplasmazione strutturale in molti altri. Pina Bausch in “Bandoneon” (1980) presenta un caffè argentino di periferia tappezzato di ritratti di pugili; fra sedie che ingombran? e .tavolini ch.e attendono. i ballerini raccontano impudicamente al pubblico l loro dolon. Hans van Manen, distillato e astratto, in un gioco di lucidità e distacco ironico, crea i passi dei piazzolliani “Five tangos” (1984). Vladimir Vassiliev danza un tango da solo
Si definiscono tre stili e forme: – Tango-milonga con m t’ .
b . .’ o IVI marcatamente ritmici, adatto ‘1
allo, alterna, con gli stessi trattamenti alla milonga . per I
al candombe e al I ..’ proprIamente detta,
assimila agli stru:ean:~~~i~~~~lo; l’eventuale presenza del cantante si
– Tango puramente strumentale, con armonie evolute, ricchezza di tempo rubato, commistioni col genere folk e col classico, adatto l’l’I l’uscolto,
‘l’ungo cancion, con testo poetico preminente e protagonismo asso­lutu del cantante.

Carlos Gardel

Tra il serio e il faceto, Federico Fellini usava dire: “Nulla si sa, tutto si immagina”. Questo commento si addice perfettamente a Carlos Gardel, Il più grande mito dci tango, avvolto da un nugolo di incognite. I conti dd suo percorso umano non tornano; numerose le lacune, le inesattezze, Il’ contraddizioni. Lui stesso ha alimentato i misteri. Tuttavia, nel 1990, cinquantacinque anni dopo la sua morte, viene resa pubblica l’indagine del magistrato uruguayano Eduardo Payssé Gonzalez, un libro di 471 pagine con cronologia, foto e documentazione annesse intitolato “Carlos Gardel, Pagìnas Abiertas”, che registra e completa i lavori investigativi iniziati nel 1967 da Erasmo Silva Cabrera e Tabaré Di Paula,
Anche gli argentini sollevano dubbi, tra cui Ricardo A.Ostuni, Vice­presidente dell’ Academia Nacional del Tango, quando analizza certi eventi dei quali “molto si è scritto sul piano della fiction, poco si è provato nella realtà della vita”.
L’ipotesi più probabile è che ci siano state due persone. Uno, chiamato Charles Romuald, nato 1’11 dicembre 1890 a Toulouse da una ragazza madre, Berthe Gardes, che anni prima aveva tentato fortuna in Uruguay, nella Compagnia Francese delle Miniere d’Oro, nel cabaret La Rosada e nella fattoria di Carlos Escayola, capo politico del dipartimento di Tacuaremb6 col quale aveva anche intrecciato rapporti sentimentali. Sbarcato con sua madre a Buenos Aires, come figura nei registri dcI 1893 della Direcci6n de Migraci6n, il bimbo viene affidato alle cure di una vicina mentre Berthe lavora come stiratrice nel laboratorio dell’amica Anafs Beaux. Charles Romuald ha una grande somiglianza fisica con CarIitos, un bimbo uruguayano che sua madre aveva tenuto a bada prima che lui nascesse. Ma Carlitos marina continuamente la scuola, mentre lui, “El Francesito”, frequenta con regolarità la “San Estanislao” e ottiene eccellenti voti: dieci nelle tredici materie. Tornato in Europa, Charles Romuald combatte per la Francia e muore sul fronte durante la Prima Guerra Mondiale; il suo nome figura iscritto nel Monumento ai toulou­siani caduti. Il suo certificato di nascita giunge appena nel 1936 a Buenos Aires, per questioni giuridiche legate a un’eredità miliardaria.
L’altro, che sarà chiamato Carlitos, El Morocho del Abasto (Il bruno dei Mercati Generali), La Sonrisa, El Mago, El Divo, El Idolo, El Troesma (rovescio di Maestro), El Zorzal Criollo (Allodola Creola), El Rey del Tango, El Cantor del Plata, El Alma que canta, e, estremo paradosso, El Mudo, nasce nel dicembre 1884 o 1887 nella fattoria Santa BIanca della cittadina uruguayana di Tacuaremb6 di cui sopra. Mai isc:itto a~l’ ana~rafe perché figlio naturale elel colonnello Carlos Escayola e. dì Marfa Lelia, la sua cognata minorenne, sua figlioccia. Escayola, già nrnasto vedovo da Clara, ora era sposato con Bianca, la seconda, alla morte della quale avrebbe poi sposato in terze nozze Maria Lelia, tutte e tre figlie del console italiano Giovanni Battista Oliva e di Juana Szhirla argentina. Nel bimbo scorre, sia detto per inciso, sangue italian«, ~ altolocato, per giunta. Carlitos cresce però con le donne di servizio della fattoria,.in seguito con la summenzionata Berthe Gardes, che lo porta a Montevideo, e lo consegna alla già citata Anafs Beaux, prima di partire da sola per Toulouse. Queste donne, data la saltuarietà dei loro contatti
run Carlitos, non riusciranno a insegnargli alcun rudimento di francese: da piccolo non capisce i rimproveri di Berthe; più tardi, le poche vol~e lhl’ canterà in francese, si mostrerà refrattario all’accento, e la volta m l’Ili scriverà in un documento solenne la parola “Toulouse”, gli scapperà 1111 errore ortografico. Quando Berthe torna col figlio v~ro (Charl~s kornuald), Carlos Escayola stringe con lei un patto davanti a un notaI~ per cui la obbliga a tenere Carlitos a Bueno~ Aires, dietro co~pens~) d,~ lilla lauta somma. Carlitos frequenta saltuanamente la scuola Regina che i gesuiti destinano ai bambini poveri, passa poi dai salesia~i, .im?ar~ il scrivere copiando i giornali, ottiene pessimi voti e parecchi richiami per cattiva condotta e piccoli reati. Lavora come canillita, vende~do giornali per strada, raccoglie piombi in una tipografia, ~ nel quartiere Palcrrno, guadagna qualche soldo nelle cavallerizze d~I~’Ipp~dromo: f.a anche il claqueur e la comparsa di teatro lirico, ama VISitare l c~men~l~ non perde occasione per farsi dare lezioni di canto; si produce nel comIt~ politici, nelle case da gioco, conosce i payadores Arturo Nava e Jose Bctinotti.
Carlitos sembra spinto dall’ansia di rivalsa verso suo padr~ Ca~·lo.s I ~scayola, bravo cantor e suonatore di chitarra, prot~tt~re di a~lstl, fondatore di un teatro a Tacuaremb6. Nel 1905, per reincidenza, viene condannato a due anni di reclusione nel penitenziario di Ushuaia; appena uscito va a trovare suo padre col quale ha un violento alterco. Nel 191 I i suoi tifosi lo fanno incontrare con un altro cantante, José Razzano “El Oriental”, in una sfida che segna l’inizio di un brillante sodalizio artistico. Il duo Gardel-Razzano, specializzato in cifras, estiIos, tonadas, triunfos, repertorio rurale, regionale, debutta nel cabaret Annenonville di Buen~s Aires; cominciano a incidere dischi nel 1913. Durante una loro tourne~ in Brasile, sulla nave “Infanta Isabel” viaggia Enrico Caruso; Gardel SI la ascoltare, e il grande tenore esprime un giudizio lusinghiero sulla sua voce. AI Palais de Giace di Buenos Aires, un giorno di dicembre] 9 15, mentre festeggia il suo compleanno (quale”) con una combricola di amici, un tale Roberto Guevara Lepe (che si è voluto confondere con Ernesto Guevara Lynch, il padre del Che) gli spara una pallottola che porterà sempre alloggiata nella pleura. Nel ]91.1 L~ Nacional, la fiam­mante impresa fonografica e discografica argentina di Max Glucksman~, sceglie come suoi artisti esclusivi Roberto Firpo e la sua orches~ra, e II duo Gardel-Razzano: primo tango inciso da Gardel e eia solo: MI noche triste” .
E’ del 1920 il suo primo documento, che attesta la nascita uruguaya­na; il cognome è Gardes, come quello di Berthe; gli stessi dati anagrafici figureranno sulla carta di cittadinanza legale argentina che otterrà I 19.23, Nel 1925 inizia a comporre. Razzano, per seri problemi di ~;o:~a e mterventì alla gola, lascia il duo’ diventa pero’ l’ ” . G d I T’ , ‘ arllillInIstratore di
~ e, ra Il 1925 e Il 1926 incide 25 brani a Barcellona’ s I
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~ regis raZIOnI col sistema elettrico, Arriverà a registrar ‘ t I
quasi ottocento brani, tanghi per la maggior parte Le sal ,e In ota e fi h ‘ ” . e cmematogra-
IC e e I teatn SI contendono la sua presenza. Successo impar iabi
s’a . d’ h” ” eggIa I e
l per l, I~C I, SIa per I~ cmema:, dieci cortometraggi e nove film. i~
totale, giran a Buenos AIres, negli studi della Paramount d’ J’ “II
” P” . , I omVI e
vicmo a angi, e negli stessi studi di New York Compera la ‘ . , ‘ J J ‘ 7 . . casa m VIa
ua~ aures 35, Buenos AIres, ex postribolo, ex sartoria er si nore
oggr noto locale chiamato “La Casa de Gardel” , l’occup tP bi g I :
, an e a itua e stata Berta, Nel 1930 percepisce un cachet di 3200 franchi al giorno, Sin dal 1925 intuisce che deve aprirsi a un pubblico più vasto: il suo lavoro come attore cinematografico gli impone la necessità di essere compreso da un auditorio internazionale. Costituisce dunque un fecondo binomio con Alfredo Le Pera, autore delle sceneggiature dei suoi ultimi film, e delle parole delle sue ultime canzoni, Cliente abituale dell’Hotel Meu­risse di Parigi e del Waldorf Astoria di New York. Riceve protezione di sinteressata da parte dei fratelli Traverso, del caffè O’ Rondemann, uno dei quali vive more uxorio con sua cugina Amanda Escayola. Proprieta­rio di due scuderie e di cavalli come il celebre “Lunatico”, diventa amico intimo dei fantini Francisco Maschio e Ireneo Leguisamo; questi, alle domande intese a far luce su certi misteri riguardanti le origini dell’ ami­co. risponderà invariabilmente che si porterà alla tomba tutto quanto Gardel gli ha chiesto di non rivelare, Nel 1931 Armando Defino sostitui­sce Razzano, con in più l’incarico di consulente artistico e rappresentante legale; convince Gardel a fare un testamento olografo dove figuri il piccolo cambiamento del cognome, con l’elle finale anziché l’esse; nomina ereditiera universale sua madre (?) Berta; la data ha una corre­zione: 7 novembre al posto del 9 (giorno in cui si trovava sulla nave); è notorio che la legge uruguayana non riconosce i testamenti olografi.
Era in Colombia, quasi alla fine di una lunga tournée per l’America Latina, e aveva appena concluso un récital cantando il tango T, , o~hgo*. D~veva r~carsi a Cali dove lo attendeva, come dap ertu;:;~lOu~ teatro gr~~l1Ito. Ali. aeroporto di Medellfn, inspiegabilmente, iI suo ae;eo mentr~ SI mca.mrnmava per decollare, va a scontrarsi con un altro fermo s~lla PISt~,.C01 tre motori accesi. Secondo una commissione d’in~hiesta SI el a verificato un fenomeno aerologico cioè l’a “. . ‘ d’ , ppanzione Improvvisa
I una corrente 6-7 Beaufort preceduta da venti deboli m ., d’ ‘
ff ‘h E ‘ a piu I uno
a , enn~ c e ~nesto Samper Mendoza, il pilota, ha fatto uno scherzo
acroha~lco al pilota tedesco della compagnia rivale. Carlos Gard I > carbollizzato E’ il 24 ‘. e muore ‘.. . giugno 1935. Diverse testimonianze concordano
m affermare che la fattoria degli Escayola era un andirivieni di gente che,

~IlSpCSO il tabù, presentavano le condoglianze alla famiglia. Nella scia­~’lIla muoiono Le Pera, i chitarristi Barbieri e Riverol e altre tredici persone. Otto mesi più tardi Defino ottiene che la salma sia rimpatriata .\ Buenos Aires. I funerali si svolgono al Luna Park, lo stadio con 23 mila Jlosti dove Dempsey era stato sconfitto da Luis Angel Firpo, “El Toro sulvaje de las Pampas”. Il richiamo e il fervore attorno alle spoglie di Gardel sono apoteosici. Berta, rientrata a Buenos Aires da Toulouse dopo la morte di Gardel, finisce i suoi giorni nel 1943, a settantasette anni; lascia un testamento olografo a favore delle due vecchie amiche e di Dcfino, e in caso di morte di questi, alla moglie. L’immensa fortuna accumulata da Gardel coi diritti d’autore, beni mobili e immobili, poco tempo dopo, viene distribuita fra la Sadaic, Razzano per i diritti disco­grafici, Defino peri’ immagine. Carlos Gardel è venerato dalla Patagonia al Bravo. Statue con la sua effigie, strade col suo nome, ricordi, testimo­nianze, reliquie. Ogni anno, il 24 giugno, gli si rende omaggio: nel mausoleo al cimitero della Chacarita provvisto di altoparlanti che diffon­dono la sua voce, o attraverso la riedizione dei suoi dischi; in programmi radiofonici e televisivi. con la proiezione dei suoi film.
Bisogna tener conto che la carriera di Gardel si svolge in un periodo relativamente breve, che le condizioni della tecnica di riproduzione sonora erano ancora artigianali, che i grammofoni erano costosi, che la radio a transistor, la televisione e il primo longplay di massa sarebbero apparsi solo quindici anni dopo la sua morte. E’ lecito analizzare il successo di Gardel come un fenomeno musicale paragonabile, all’epoca, solo a quello scatenato da Caruso.
Una voce baritonale in un momento in cui le prime difettose tecniche di riproduzione colgono più fedelmente i registri gravi. Simpatia perso­nale che gli consente di muoversi con disinvoltura in ambienti diversi, ivi compresi quelli dell’élite internazionale più esigente. Voce e simpatia personale, però, non gli bastano. La sua voglia di emergere lo porta a costruirsi un corpo e una carriera, come farà Maria Callas in tempi più recenti. La sua “pinta”, cioè la sua prestanza, è frutto della tenacia. Perde trenta chili, spinto dalla necessità di piacere come attore. Tecniche respiratorie e ginnastica ogni giorno. Fuma per finta, cosa che di certo ignorano quelli che tengono perennemente accesa la sigaretta alla sua statua del cimitero. Single, con intorno la piccolo borghese Isabel del Valle. nei panni della fidanzatina platonica. Sesso limitato, secondo la prescrizione niente Bacco, Tabacco e Venere che in passato regolava gli artisti lirici e gli atleti. Attore sobrio, mai overplaying. Raffinato, impec­cabile nel vestire, ampio sorriso obliquo. mai blasé,
La voce, inconfondibile come la figura, è pastosa, esattissima; il fiato, così sapientemente amministrato, gli fa ottenere il legato totale. Mantiene la quadratura del tempo con un rubato interno libero.
Sempre calibrato, rarissime volte fa uso di corone, sa suddividere la b.attuta.come pochi altri. Nonostante le carenze degli impianti di registra­zione, Il suo talento singolare gli consente di eseguire il brano folklori­stico Sanjuanina de mi amor in duo con se stesso, e altre imprese non comuni al SUOI tempi. Dna tecnica formidabile gli permette di sfruttare al massimo la sua voce. Possiamo osservarlo quando canta nei suoi film: apre gli occhi in cerca di convogliare il suono ai seni frontali in coincidenza di un acuto o nell’ apice di un crescendo, al pari di un cantante d’opera o di lieder. Anche il sorriso viene utilizzato ai fini della musica, p~r rendere ?uttile il fraseggio. Certe peculiarità di pronuncia (quando dice “targo” invece di tango, “carta” invece di canto) non sono solo vezzi, ma necessità di accompagnare gutturalmente il suono che, con la nasalità della enne, si sarebbe interrotto: lo stesso Pavarotti insegna che così facendo l’articolazione riesce più chiara.
Gardel stabilisce uno stile di canto, basato sulla capacità di comuni­care un testo, aderente alla azione drammatica dello stesso. Sottolinea aggettivi e avverbi, caricandoli di senso, Le epentesi caratteristiche (ju, ~mh) sono un modo di apporre il punto esclamativo o interrogativo, che 1IJ spagnolo va collocato davanti a una precisa parola della frase. Ascol­tiamolo in una canzone tango poco abusata dai discografici: Misa de Once*. Qui lui rimembra un episodio di quando aveva 20 anni e vedeva una ragazza di 18 che era interna in un collegio dal quale usciva solo le domeniche con la nonna. Situazione alquanto svenevole, vero? Sentiamo però Come ce la trasmette Gardel. La sua voce assume toni chi ari, astratti, quando si riferisce ai momenti felici del ricordo. Ma, quando fa i conti con la realtà, pensando a quanto ha dissipato e cosa gli è rimasto, la sua voce si oscura, intrisa di sofferenza. E si capisce perché il poeta Francisco Urondo l’ ha chiamato “Sefior de los tristes”. E tutto torna se si considera che sta cantando quel Carlitos buttato fuori dalla ricca e fosca casa Escayola-Oliva di Tacuaremb6.
Generazioni di introversi latinoamericani nutrono una devozione quasi religiosa per Gardel, che ha agito da tramite fra loro creando musica e cantando testi che hanno assunto valore di proverbio. Cantautore ante-litteram, Gardel ha composto una settantina di canzoni su testi di una de.cina di a~tori diversi. molti dei quali convenzionali, deperibili. Tutt~vJa, se non e vero (e non può esserlo) che Gardel canta ogni giorno megho, come si afferma attribuendogli un working in progress che nemmeno la morte può interrompere, la sua musica scavalca la portata Il,’i lesti, e la sua interpretazione vocale è ancora superiore alla musica. Ma si preferisce sentirlo come un fantasma che aleggia sul tango, lertnandolo, governandolo; dio eternamente presente e giovane, con la sila voce fuoricampo, il suo sorriso e il suo segreto.

Gli altri cantanti

Quando qualcuno domanda chi è il successore di Gardel, si suole rispondere: i dischi di Gardel. Senza volere essere c~sÌ peren~ori, potr~m­mo rispondere che, dopo Gardel, sotto la mmaccia del pla~n~colIo e l’enfasi. una sola alternativa è possibile: seguirlo (anche imitandolo pcdissequamente) o discostarsi. La storia del tango ha premiato questi ulti mi, tra i quali, come risulta da recenti autorevoli inchieste promosse in Argentina, emergono, in ordine:
l” Julio Sosa (1926-1964), uruguayano, genio e sregolatezza, muore sbattendo l’automobile contro un muro; se i funerali danno la misura di un mito, Sosa non lo è di meno di Gardel; in materia musicale, è il primo che osa riprendere i tanghi di Gardel, e può permetterselo: la su~ voce h~ tu tt’ altro tessuto, la sua drammaticità lo porta a rispettare gli accenti tonici delle parole, senza assoggettarsi agli accenti del verso (non fa sentire gli alessandrini, per esempio), i brani appa~ono. in u~a nuo.va luce; tuttavia, si ama Sosa per un suo repertorio peculiare m CUI espnme con grande forza il rancore e lo sdegno virile, maschio, che gli valsero l’appellativo di “El Var6n del Tango”.
20 Roberto Goyeneche (1926-1994): le classifiche specificano “d~ giovane”, precisazione crudele poiché, come diceva Goyeneche negli ultimi tempi, “Ora che non ho più voce, tutti mi cercano”; non è,però la voce che gli ha fatto difetto, bensì il suo stile interpretativ~, dlven~to maniera con gli anni, quasi parlato, con lunghe pause, epentes~ da C~ttIVO attore e una sorta di tartagliamento alcolico che ha avuto molti continua­tori; iniziatosi come pianista, viene adottato come cantor dall’orchestra di Troilo, dove offre il meglio di se stesso; alias “El Polaco” o “El
Colorado” perché rosso di capelli. . . ..
30 Angel Vargas, con l’orchestra di Angel D’Agostino, identificato con il repertorio popolare de “Los Dos Angeles”, è la voce che accom­pagna i ballerini negli Anni Quaranta e Cinquanta, epoca d’ oro d~l tan!S0′ 4 o Floreal Ruiz svetta tra il 1944 e il 1969 ne Il ‘ orchestra dI Troilo.
Le voci cominciano a risentire l’influenza degli altri strumenti, special-
mente del bandone6n: le sillabe si allargano e si accorciano come il man ti ce, indipendentemente delle necessità espressive del testo. Vi è pure un uso maggiore delle sincopi, evitando di cadere a piombo sui tempi forti di battuta.
SO Héctor Mauré, cantor dal vasto repertorio, il più richiesto nei negozi di dischi rioplatensi, esordisce negli Anni Quaranta con l’orche­stra di Troilo, dal quale si separa per mettersi a capo di un proprio complesso; un timbro di voce più aspro lo distingue dagli altri.
6° Edmundo Rivero (1911-1986) inizia come chitarrista accompa­gnando Magaldi e prosegue come cantor nell’ orchestra di Troilo; con lui entra nel tango, per la prima volta, la voce grave di baritono-basso; emissione, articolazione e intonazione ineccepibili, dovute ai suoi studi di canto e di chitarra classica al conservatorio; memorabili le sue inter­pretazionì dei testi di Borges con musica di Piazzolla; ricercatore e cultore di lunfardo; per l’acromegalia di cui era affetto, Ri vero si meritò il crudo soprannome di “El Feo” (il brutto), che accettava con ironica disinvoltura.
7° Francisco “Fiore” Fiorentino (1905-1955), nato in Italia, inizia come bandoneonista nell’orchestra di Troilo, dove diventa vocalista, passando poi alle orchestre di D’Arienzo, Cobian, Gofii, Mancione e Piazzolla; primo e più notevole caso di voce trattata come puro strumen­to, il bandone6n, che si amalgama agli altri timbri, e risolve musicalmente difficili contrappunti e armonie dissonanti; a scapito, beninteso, del testo, che diventa quasi intelligibile.
8° Alberto Marino “El Tana”, nato a Napoli, canta per ben 22 anni nell’ orchestra di Troilo, ottimo sostegno che non riuscirà a trovare fuori; evidente l’influenza del bandone6n nella maniera di articolare le parole. 9° Hugo del Carril (Piero Fontana, all’ anagrafe), destinato a caricare sulle spalle l’eredità gardeliana, sia nei film, sia nei dischi: presenza, voce calda, brio.
10° Charlo (Carlos José Pérez de la Riestra, ali’ anagrafe, 1907), intonazione perfetta di tanghi particolarmente difficili, interpretazioni fluide e sensibili; compositore fra l’altro di Rencor* e Cobardfa.
E poi Horacio Molina, dalla vena intimi sta, Ratil Lavié, Carlos Cardei, Rubén Juarez, cantante e bandoneornsta, che lavora anche con grande inventiva nel campo del bolero, Angel Cardenas, Jorge Maciel, Alberto Moran, Roberto Rufino e Alberto Casti Ilo, caso a se stante: medico, recupera lo stile compadrito, populista, ha molto successo nel cinema, fino a diventare una caricatura di se stesso.

La musica

La Fedele radio

l.a radio resta sempre il più fedele canale di diffusione del tango, che hu fatto penetrare in tutti gli strati sociali ed estendere in ogni dove til’II’ A mcrica Latina.
I,’ epoca d’oro si delinea dal 1935 al 1955: la coreografia si sempli­Ika, c lutti gli sforzi sono puntati sulla musica. Si polarizza l’attenzione 1111 alcuni strumentisti e su alcuni cantanti. E’ l’auge del tango-cancion. Pnrullclamente si evolvono il valsecito criollo, che di suo padre austriaco ilI ì è solo rimasta la battuta 3/4, e il candombe, che a partire dagli Anni (‘ i “quanta, con l’ uruguay ano Romeo Gavioli, viene eseguito dall’ orque­Mia upica con aggiunta di tamboriles. Gli arrangiamenti più interessanti ricorrono a tutti questi ritmi, ottenendo felici combinazioni.
A. partire dal 1955 subentra l’influenza della musica anglosassone. (ornunque, la radio continua a trasmettere programmi giornalieri di tnngo. Negli anni Ottanta, per opera di grandi ballerini rioplatensi, il hlllgo rinasce come danza e, grazie soprattutto ad Astor Piazzo Ila, come IIIlIS ica da concerto.
Nclla forma musicale il tango si richiama alla suite settecentesca europea: monotematica bipartita AB oppure ABACA con trio. General­mente, se il motivo A è ascendente, quelloB è discendente; se uno ritmico l’ staccato, l’altro melodico e legato. La variazione, dapprima come tlllUhlcs, non intacca la melodia né gli accordi. Quando esiste un testo il motivo A funziona come strofa (ripete la sola musica, cambiando le 1′;lIole), mentre B funziona come ritornello (ripete musica e parole); le l’illlfOni con trio, come Ma riposa * e Madreselva*, non abbondano. I due motivi sono in tonalità differenti, e spesso anche in modalità differenti (11110 in maggiore, l’altro in minore). Rari i tanghi con Introduzione e ( ‘oda cantate come Mi Buenos Aires querido*. In alcuni casi, a maniera di epigrafe, si recitano brevi versi, come Las Cuarenta* e Maquillaje*.
Dal punto di vista armonico il tango si evolve come la musica diatonica europea, dai giri tonaf del Settecento agli accordi di tredicesi­ma raveliani. Adotta la scala esatonale, la poliritrnia, la dodecafonia, i pedali dissonanti, i cluster.
5.2 Strumenti e musicistifondatori
II tango, nato come musica per accompagnare la danza, viene esegui­to dapprima da un trio di strumenti portatili: flauto-chitarra- violino oppure clarinetto-arpa-violino, intendendo per arpa quella rustica, diato­nica, tipica degli indios paraguayani. Dopo il 1900 il trio diventa più sedentario: bandoneon-pianoforte-vìolìno,
Nel 1913 si forma il sestetto “tipico”: 2 violini, pianoforte, 2 bando­neones, contrabbasso. Questo complesso, con l’aumento dell’organico e l’adozione di nuovi strumenti, diventa l’orchestra “tipica”.
5.2.1 Violino e violinisti
Si osservi che il violino, lascito degli italiani. non manca mai nelle formazioni strumentali; gli si dà I’ appellativo di “jarnon “, cioè prosciutto; va suonato con vibrato, con portamento, eseguendo la melodia con languori da “dormiglione”, da “drogato”.
Ernesto Ponzio (1885-1934), “El Pibe Ernesto”, perforrner e compo­sitore, autore del celebre tango Don Juan (1898), ha visto offuscato il suo valore artistico per certi aspetti della sua biografia, come l’aver conosciuto varie volte la galera. una per omicidio.
Frane iseo Canaro (1880-1964), “Pirincho” (l’appellativo “Porcospi­no” si riferisce ai capelli ispidi) o “El Kaiser”, è un pioniere, la personalità più celebre della tendenza conservatrice (ma non tanto); mezzo secolo di carriera. per la maggior parte in Francia, vocazione imprenditoriale; predilige le orchestre grandi, con 70 elementi; pur avendo accompagnato Gardel, inaugura la consuetudine di mettere nella sua orchestra un estribillista, cioè un cantante che esegue soltanto il ritornello; anche se il suo strumento è il violino, introduce la tromba e il contrabbasso; il contrabbassista Leopoldo Thornpson crea, nell’orchestra di “Pirincho”, l’effetto canyengue, che si ottiene battendo con l’archetto e la mano sulle corde.
Juan D’Arienzo (1900-1976), “El Rey del cornpas” (Re della battu-
la). porta la sua orchestra a tempo metronomico, come colpi di frusta o di zappa, con lunghe pause rigorosamente scandite; tra Varela, De Angelis e D’Arienzo, le tre orchestre più popolari degli anni Trenta e Quaranta, i ballerini preferiscono la sua.
Elvino Vardaro (1905-1971), strumentista eccelso, primo violino dell’orchestra sinfonica di Cordoba, segna con la sua impronta le forma­zioni di tango più interessanti; Vardarito, scritto da Piazzolla, è un commosso omaggio alla sua memoria.
Antonio Agri (1932), altro violinista di prima grandezza; Salvatore Accardo gli ha ceduto il suo Stradivari per registrare dischi col Quintetto di Piazzolla.
5.2.].1 Un cammeo per Lulio De Caro
Julio De Caro (1899-1989), negli anni Venti, mosso dal principio “il tango è anche musica”, rappresenta il momento di trasformazione musi­cale più importante per il genere; grande inventiva nei contrasti formali dinamici, espressivi, impiego del contrappunto, nuove e decisive risorse nell’esecuzione di ciascun strumento; suo fratello Francisco solido pianista della sua orchestra, è i I primo che impiega il glissando; un “violfn cometa” (violino con amplificatore) diventa la sua marca di fabbrica’ introduce l’effetto “chicharra” (cicala) sfregando le corde del violino davanti al ponticello; richiede una tecnica superiore da ciascuno dei componenti del suo complesso, che si esprimono anche con fischi e risate.
I :orchestra decareana è chiamata a prodursi negli ambienti più colti Aristocratici di Europa, Stati Uniti e Sudameriea. Fritz Kreisler appone Mila firma sul violfn cometa. Durante la toumée in Costa Azzurra del J CJ Il. J u lio De Caro impone l’abbigliamento in smoking, papillon, Irlllilto inamidato, come i normali esecutori di musica classica .
.Julio e Francisco De Caro Ricciardi (primo cognome del padre, IIrmndo della madre) sono i maggiori dei dodici figli di José De Caro De .!t’n c di Mariana Ricciardi Villari, partiti da Milano; il severissimo don Jns(;, che aveva istallato a Buenos Aires un suo conservatorio e un 11\’~ozio vendita di partiture e strumenti musicali, e aveva costretto Juli~ Il studiare il pianoforte e Francisco il violino, li caccia da casa quando SI IIn’orge che si erano scambiati gli strumenti e che avevano tradito la musica classica per il tango, mettendosi a suonare nel quartetto di Arolas.
C’è un altro particolare notorio sulla famiglia De Caro, che Julio ripeteva spesso; in una intervista a Primera Plana (numero 469 del 25 ).’J’tlllaio 1972) ne dà ulteriore conferma: si dichiara discendente di poeti, letterati, diplomatici, politici e artisti, tra i quali il regista e attore Vittorio Dc Sica. Vittorio sarebbe figlio di un fratello di sua nonna materna. t ugino secondo, dunque. Manuel De Sica, indubbio figlio di Vittorio, per giunta musicista, nega perentoriamente l’esistenza di tale parentela. Eppure la massa di aficionados rioplatensi, colombiani e cubani che ha aderito dal primo momento al cinema neorealista italiano l’ha fatto “per vedere il cugino secondo dei De Caro”. La stessa discriminante ha colpito Alain Delon, la cui fama si deve, come ognuno sa, alla sua collezione di dischi gardeliani, e Anthony Quinn, che dal ]995 ha raggiunto altezze stratosferiche per aver intitolato le sue memorie “One tango man”, cosa che i tangueros sapevano da sempre.
5.2.2 Pianoforte e pianisti
Sfruttato dapprima come strumento solista, il pianoforte entra nelle formazioni orchestrali del tango agli inizi del secolo. Soprannomi nato “nopia” (rovescio di piano) o “dientudo” (dentone) ingombrante e costo­so, rappresenta lo strumento della classe alta, e contribuisce alla sca~ata sociale del tango. Gli corrisponde la parte di guida ritmica e armonica, ma ha a suo carico molti momenti solistici, vere e proprie cadenze virtuosistiche, con caratteristici glissando.
L’DI’questa Argentina del “Tano” Sp6sito accoglie i tre migliori pianisti degli Anni Venti e Trenta: Agustfn Bardi, Roberto Firpo e Juan Carlos Cobian.
Roberto Firpo (1884-1969), caposcuola deJlo stile conservatore, im­mette il pianoforte nell’orquesta tipica; peculiare l’uso di far cantare i ritornelli da un coro di orchestrali; una delle più lunghe carriere profes­sionali,
Juan Carlos Cobian (1896-1953), cognome vero anagrafico, sebbene possa sembrare il rovescio di Bianco, dai caratteristici vuoti nel disegno della melodia; introduce le decime arpeggiate nella mano sinistra; nel 1923 raggruppa i migliori nomi: Julio De Caro, Pedro Maffia, Luis Petrucelli; compositore di pagine musicalmente precorritrici come La casita de mis viejos* e Nostalgias»,
Lucio Dernare, partito col trio famoso Irusta-Fugazot-Demare, lascia il suo nome legato a canzoni come Malena* e Tal vez serd su 1’oz*,
Carlos Di Sarli (/900-1960), “Sefior del tango”, pianista chopiniano; orchestra di grande classe, con prevalenza degli archi, trattati come il concertino nel grosso; impiego dell’unissono; ricercati contrasti tra lega­to e staccato; Di Sarli, che usava perennemente gli occhiali scuri per un incidente agli occhi avuto quando era trediccnne, e offriva una cospicua parte dei suoi diritti d’autore alfe istituzioni filantropiche per l’infanzia (l’aiuto dato agli orfani di guerra italiani gli valse l’ordine di commenda­tore), venne abbandonato in massa dai suoi orchestrali nel momento di maggior successo, per motivi di bieca superstizione. Bahia BIanca è consideralo il capolavoro di Di Sarli.
Osvaldo Pugliese (1905-1995), oltre 70 anni di carriera, pianista funzionale nel proprio complesso, contende con Troilo il primato delle orchestre più memorabili; parte dalla scuola di De Caro, aprendosi ad armonie evolute, ma la sua caratteristica inconfondibile è i I fl’aseggio originale, marcato, e una poliritmia percussiva che riscatta l’aspetto canyengue (plebeo) del tango, e che lui stesso chiama onomatopeicamen­te “la yumba”; La Yumba e Recuerdo sono i suoi lavori più notevoli,
Mariano Mores, virtuoso del pianoforte, ama le orchestre gigante­sche, effettistiche, Eccellente compositore, ha scritto la musica di indi­menticabili canzoni, come Crista/*, dalle armonie raffinate, e Uno*, raro esempio di cromatismo nel tango,
Horacio Salgan (1916), pianista eccezionale con incursioni nel jazz, primo organista della cattedrale di Buenos Aires; artista dell’orchestra­zione; sincopi, armonie impressionistiche, disintegrate, puntilliste; la sua prima orchestra data del 1944, vi incorpora il c1arone (clarinetto basso) per esaltare i bassi del bandone6n, del contrabbasso quando suona pizzicato, del cella che deve dare corpo alle corde; il brano Afuego lento,
t da Salgan nel 1953 costituisce una pietra miliare del tango
\’OIllPOS o ,
d’avanguardia. r’ II’ studi pianistici con Carlo
‘l’ S ne (1926) perreziona g . ..
AtI lO tampo , ” , t’ che talvolta sconfinano
‘ . 1’, . t di sapienti arrangwmen I
Zccchl 111 Ha la, au ore . c “” bile” la musica popo-
” “‘1’ ‘,” e non per rendere plU no I ,
nella musica c asstcà , , ‘h l’orchestra di
‘ ‘* d’ Manzi/Piana, per esernpio, c e
larc: la M/longa tnste I .’ , arnificandola attraversandola
Stampone esegue dilatando?e 1 tem!’)], se bra quasi m~strare l’essenza
da lunghi accordi-pedale dissonanti, sem ,
della milonga.
5.2.3 Bandone6n e bandoneonisti
II bandone6n, detto anche “fuelle” o “fueye” (mantice) o “gusano” (verme) si incorpora al tango nei primi anni del secolo. Introdotto da un marinaio chiamato Bartolo, forse brasiliano. Il suo nome deriva da band oppure dal cognome tedesco Band (Heinrich, Henri, Adolf?), probabile inventore. Fabbricato negli anni Trenta da Alfred Arnold (da qui la marca AA), che chiude nel 1971, e, in Argentina, da Luis Mariani. 38 bottoni per la mano destra, 33 per la sinistra, 71 tasti. Particolarità che distingue il bandone6n dalla fisarmonica: cambia la altezza dei suoni a seconda l’aria venga aspirata o espirata dal mantice. Timbro lamentoso, rauco, “alcolizzato”, “pigro”, “brontolone”, che in poco tempo diventerà inse­parabile dal tango. Ciascun suonatore gli darà un apporto irreversibile, esplorandone le possibilità. Strumento sedentario: un bandone6n aperto supera il metro, tutto il suo gioco risiede nel lavoro delle braccia e delle ginocchia. Tende a rallentare il tempo per scandire meglio le notine brevi, infatti la battuta di 2/4 diventa di 4/8 04/4.
Genaro “El Tano” Sposito, imprime al bandone6n un fraseggio tutto staccato, saltellante; agilissimo lavoro della mano sinistra; memorabili tournées europee dal 1922 al 1939 a capo della sua Orquesta Argentina.
Vicente “Garrote” Greco scopre che si può anche suonare legato. “El Alernàn” Bernstein inaugurala pratica delle variazioni come nella suite settecentesca: la melodia viene trattata con ornamenti e fioriture, crome e semicrome che ne coprono il motivo principale.
Il “Pacho” Maglio (il nomignolo è la storpi atura dell’ italiano “pazzo”) costituisce il primo trio; i suoi lunghi assolo contribuiscono a far giungere il tango ai caffè del centro cittadino.
Eduardo Arolas (1892-1924), “El Tigre del Bandoneon” arricchisce i motivi con salti di ottava, bassi che borbottano, inaugurando la tecnica dei passaggi a due mani; lascia una ventina di tanghi celebri, tra i quali:
Una Noche de garufa, Cusifai; La Cachila, Araca, Fuegos Artificiales, Camme ilfaut, Marrons glacés, Retintin, El Marne e Rocca, dedicato al violinista Tito Roccatagliata.
Anselmo Aieta: le sue personalissime esecuzioni nel Café Nacional della strada Corrientes Angosta attirano tanti ammiratori che la polizia deve intervenire per fermare il traffico.
“Bachicha”, al secolo Juan Deambroggio, prolunga i suoni della melodia, rivelando un grande senso cantabile; contrattato per lunghe stagioni i n Europa, i nsieme al violinista Eduardo Bianco; I a sua orchestra ha accompagnato Gardel.
Osvaldo Fresedo (1897-?) fonda nel 1918 la sua orchestra, che raggiungerà i 60 anni di carriera, anche in Francia e negli Usa; introduce i timpani e lo xilofono e semplifica le variazioni del bandone6n per rendere omogenea tale scelta timbrica; glissandi sfumati; per la gra~de eleganza, l’orchestra di Fresedo diventa la preferita dell’alta borghesia.
Pedro Maffia (1900-1967), eccezionale caposcuola, titolare della prima cattedra di bandone6n al Conservatorio Municip~l, ~a~u~1 .de Falla’ abbondanti cromatismi, ritmo elastico, rubato, quahta murrnstica del s~ono; introduce gruppetti, mordenti, appoggiature, e accordi di.ott~ note nei vari ribaltamenti. Come compositore, il nome di Maffta SI associa a ricche canzoni-tango, tra lequali La Mariposav e Taconeando” .
Pedro Laurenz (1902-1972), fraseggio nitidamente scolpito, suono brillante, uso delle sincopi, variazioni a moto perpetuo, poliritmia.
Ciriaco Ortiz (1908-1970), bambino prodigio, è il primo a usare lo strumento come “fueye chamuyador”, cioè mantice che parla, con le articolazioni proprie della voce umana, punte accelerate e rallentando, pause e respiri.
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Anfhal Troilo (1914-]975), “Pichuco”, chiamato anche “El Gordo” (il grassone) o al rovescio “El Dogor”, e persino “Budda impomatato”, gode anche di un appellativo che ne riconosce i meriti musicali: “El Bandone6n Mayor de Buenos Aires”; coniuga il tango-canci6n col tango ball~bile; r.efe~ente obbligato della generazione di tanghisti nata negli Anni Venti, Sia per le sue doti come strumentista (il primo capace di passare dal legato allo staccato senza soluzione di continuità), sia per il I~ngo e it.Uportantissimo intervento nella storia del tango, come compo­suore e direttore d’orchestra; Troilo comincia, appena quattordicenne, a suonare nell’orchestra del Pacho Maglio; quando nel j 937 forma la sua, con un acutissimo fiuto sceglie i più grandi strumentisti del momento, da Orlando Goni al pianoforte a] giovanissimo Piazzolla, mettendoli gene­rosamente in evidenza, per permutazione rotante; incorpora definitiva­mente i] violoncello e]a viola; i cantanti li considera come uno strumento in più dentro l’orchestra, tagliando le ripetizioni e stimolando la ricerca di nuove intlessioni della voce; antologici i brani suonati a duo con Roberto Grela, il più grande chitarrista del tango. Fra le innumerevoli opere di Troilo, Responso, tango strumentale, e Sur*, tango canci6n, sono ritenuti capolavori assoluti.
5.2.3.1 Folgorati da Astor Piazzolla
. Astor Piazzolla ha spazzato via gli stereotipi più recalcitranti, pur diventando, nel mondo intero, la rappresentazione stessa de] tango. Nemmeno una traccia della macchietta pittoresca di periferia, del fan incondizionato di Gardel, del milonguem che fa finta di non essersi esercitato, del suonatore approssimativo che fa finta di avere studiato. In Italia, dal liscio delle balere emiliane, si salta direttamente a PiazzoJJa, che, sebbene sia stato il più celebre, non è stato l’unico ad agire in questo processo di rinnovamento de] tango. Fino a metà degli anni Sessanta, quando ancora includeva nei suoi concerti tanghi del repertorio tradizio­nale, Piazzolla fu molto osteggiato. Molti cultori lo rifiutavano, accusan­dolo di aver tradito il vero tango, e le case discografiche lo boicottavano. Gli rivolgevano messaggi minacciosi. Destava reazioni buffe come quella del tassista che, dopo aver fermato la macchina per portarlo come un cliente qualsiasi, appena ]0 riconosce gli chiude lo sportello in faccia.
Provocatorio e polemico, con un’alta coscienza di sé che rasenta l’arroganza, Piazzolla dà manforte alle controversie, abbandonandosi a dichiarazioni pubbliche del tipo: “Anche Gardel stona, eccome”, “me ne frego dei ballerini “, “i tanghi di Discépolo sono da buttare nella pattu­miera”, “la mia musica punta al futuro”, “in un’evoluzione che è quasi una rivoluzione, il rivoluzionario sono io”. E infine un’alternativa assai i neligesta per chi appartiene alla categoria elei più: “O io sono un genio, () il resto è un branco di deficienti senza il minimo sentore di cultura musicale”.
Ego straripante dei chi, nonostante gli anni, continua a comportarsi da figlio unico e viziato? Nato 1’11 marzo 1921 nella città argentina di Mar del Plata, eia Vicente Piazzolla, da Trani, un barbiere che si di Iettava a suonare la fisarmonica, e da Assunta Manetti, di Massa Carrara. L’infanzia la passa a New York, a Little Italy, dove si inizia alla musica classica. Nel 1939 torna a Buenos Aires, entrando come bandoneonista nel!’ orchestra di Troilo, e poi a capo dell’ orchestra del cantante Fioren­tino. Ne] 1954 si reca a Parigi con una borsa di studio, per seguire i corsi di composizione di Nadia Boulanger, che lo convince a potenziare il suo stile. Ai numerosi premi ottenuti nei concorsi di Buenos Aires e Monte­video si aggiunge, nel 1957, il premio parigino al miglior disco. Dirige varie formazioni strumentali: orchestra “tipica”, grande orchestra, orche­stra d’archi e pianoforte con bandone6n solista, il famoso “Octeto de Buenos Aires” sin dal 1958, il quintetto “Nuevo Tango” del 1960 (bandone6n, 2 violini, chitarra, chitarra elettrica), sempre con esecutori di primissima categoria, veri virtuosi. Tra i bandoneonisti, Roberto Pansera, Leopoldo Federico; tra i violinisti, Antonio Agri, Enrique Francini, Fernando Suàrez Paz; i violisti Mario Lalli, Panik; i violoncel­listi José Bragato, Aldo Nicolini, Juan Vassallo; i contrabbassisti Vas­sallo, Hugo Baralis, Héctor Console; i chitarristi Horacio Malvicino, Oscar L6pez Ruiz; i pianisti Atilio Stampone, Jaime Gosis, Osvaldo Tarantino, Paulo Salzano; l’arpista Margarita Zarnek, l’oboistaRoberto Di Filippo; i percussionisti Antonio Yepes, Leo Jacobson, Pepe Correale. Incorpora nuovi strumenti ai suoi complessi: chitarra elettrica, tamburo, “bombo” e “chicharra” (tamburo indio e cicala: accompagnano l’assolo di bandone6n alla fine di Melancolico Buenos A ira del 1957). Introduce altri ritmi, come il malambo gaucho alla fine di lmdgenes 676, alternando la battuta di 4/4 con quella di 3/4 e 6/8. Usa sfalsare le entrate del contrabbasso rispetto a] tempo del pianoforte. Sfrutta ogni possibilità della scienza dell’armonia e del contrappunto. Esplora il campo diatoni­co: poli tonalità, poli modalità, modalità ritmica alla Bartok, alla Stra­vinsky. Ricorre sporadicamente alle risorse della musica aleatoria e sperimentale.
Compone ogni genere di musica, sinfonica, operistica, tango d’ avanguardia, colonne per film, e poche canzoni, sul tema predominante della città bonaerense. Quando gli impresari nordamericani, per ragioni com­merciali, gli suggeriscono di trovare un genere destinato ai giovani, che congiunga il jazz e il tango, crea il JT, che non attecchisce. Neanche ha apprezzato molto, per antipatia reciproca, l’incontro con Jorge Luis Borges del 1965, che ha dato come risultato un disco antologico Polydor mai più ristampato. La BaLada para un loco, sul testo di Horacio Ferrer, record assoluto di vendite del 1969, è il suo primo successo rioplatense di massa. Piazzolla viene in Italia con Amelita BaItar, la cantante che aveva lanciato il brano, e lo registra per il programma televisivo “Senza Rete”. Poco dopo si stabilisce in Via dei Coronari, in un piccolo appar­tamento della vecchia Roma, dove prosegue il suo metodico lavoro, giorno dopo giorno al pianoforte, sin dal mattino presto. Nel programma “Teatro lO” di Lupo e Mina avrà la fortuna di sentire la sua Balada para mi muerte in una memorabile interpretazione della cantante cremonese, con l’orchestra di Gianni Ferrio. Nel 1974 incide a Milano, oltre il disco
“Summit” con Gerry Mulligan e Tullio De Piscopo, altri tre: “Pulsaci6n “, “Tangata” e “Libertango”, che riceve il premio del disco e sarà sfrutta­(issimo dalle sigle televisive e come musica da film.
Presto lascia l’Italia per andare a Parigi, me Saint Luis l’n l’Ile, casa l’hl’ alterna a quella di Buenos Aires, anche se più della metà dell’anno vive sul mare, in una sua villa di Punta del Este, Uruguay, a caccia di squali (Escualo si intitola un suo brano). Nel 1985, un pubblico final­mente pronto lo applaudirà entusiasta nelle tournée a capo del suo Quinteto de Tango Contemporaneo (Piazzolla al bandone6n, Antonio Agri al violino, Pablo Ziegler al pianoforte, Horacio Malvicino alla chitarra, Héctor Console al contrabbasso), con una Milva superlativa sia Ile Ila voce, sia nella presenza scenica. Piazzolla è apparso tranquillo, le sue “rabictas mad6nicas” sembravano essersi esaurite, si sentiva realiz­lato, accanto alla sua nuova moglie, Laura Escalada, una nota presenta­trice argentina di radio e televisione. Un by pass lo costringe a diradare la sua frenetica attività concertistica, si muove sempre meno dalla sua casa di Parigi, e solo per prodursi come solista ospite di altre formazioni orchestrali. In Italia tiene l’ultimo suo concerto, al Teatro Astra di Vicenza, il 15 maggio 1991, con l’orchestra A. Pedrollo diretta da Marco Zuccarini e la chitarra solistica di Marco De Santi. E’ molto felice. Tornato a Parigi, continua a lavorare a un’opera su Cm-Las Gardel, libretto di Pierre Philippe, tradotto in spagnolo da Mondy Eichelbaum, che avrebbe dovuto dare l’opzione a Placido Domingo per la parte del protagonista. Ma, poche settimane dopo, una trombosi lo colpisce la­sciandolo paralizzato e privo della parola. La moglie lo fa trasferire a Buenos Aires. Poco dopo un anno, il 4 luglio 1992 dovevano avverarsi i versi scritti dall’amico Ferrer nella Ballata per la mia morte, che lui ha musicato:
“Morirò a Buenos Aires, sarà sul far dell’alba, le cose della vita con calma riporrò:
l’umile mia poesia di addio e di spari,
il tabacco, il mio tango, la manciata di spleen … “
Presenza dominante sin dagli anni Sessanta, in ogni campo del fare musicale: compositore, bandoneonista, interprete, direttore, orchestrato­re. Vera sintesi tra la musica colta (europea) e la musica popolare (nazionale), tra romanticismo e avanguardia. Lascia intendere le sue predilezioni in materia di tango coi brani: Vardarito, scritto nel 1971, alla morte di Elvino Vardaro, e De Carisitno, ricco degli stilemi piazzoliani tanto riconoscibili come imitati. E viceversa, Julio De Caro scrive per lui un tango intitolato Piazzolla nel 1971. Dal 1960 abbandona la musica di altri autori per eseguire soltanto quelle sue; le ha registrate tutte, 400 opere circa;sparse in una settantina di LP. Le cime della musica lo cercano: Rostropovich gli commissiona “Le Grand Tango” per vio­loncello solista. I coreografi più interessanti dell’epoca si sbizzarriscono creando sulle sue composizioni.
Caro Astor (Astor da Astorre e non Astor dall’inglese, che sembra un nome da cinema o da locale notturno), qualcosa è cambiato. Anzi, sei stato tu a smuovere il pavimento al tango. Che tu sia un genio, chi lo discute più? Nemmeno “il branco di deficienti” che tu, sbagliando, ponevi come alternativa. Una serissima inchiesta condotta nel 1994 in Argentina negli ambienti di tango tradizionali e non, decreta infatti che il migliore tango strumentale di tutti i tempi è Adios Nonino e colloca Libertango al decimo posto. Suvvia, accontentati.
5.2.4 Chitarra e chitarristi
buona musica per i testi di suo fratello Rubén, di Ferrer, di A vena; complessi come “Los Muchachos de Antes” (I ragazzi di una volta) che suonano, con intenzioni filologiche, alla maniera antica: Panchito Cao (c larinetto), Horacio Malvicino (chitarra), Aldo Nicolini (contrabbasso); Chico Novarro (1933), percussionista e contrabbassista di jazz, cantante cosiddetto melodico, promotore dei ritmi tropicali, compie lunghi sog­giorni incrociati tra il tango e il bolero; Rubén Juarez, attivo bandoneo­nista e cantante, scrive, su testi di Cacho Castana, vere e proprie dichia­razioni di principio dall’ampia diffusione come Qué tango hay que cantar, Mi mundo es mi ciudad; Juan Carlos “Tata” Cedr6n, compositore c cantante che, in tandem col poeta Juan Gelman, ha svolto l’opera più radicale nei riguardi del tango d’impegno nell’esilio; il gruppo “Tiempo Argentino”, anch’esso di stanza a Parigi sin dal 1978, formato dal bandoneonista Juan José Mosalini (1943), dal pianista Gustavo Beytel­mann e altri strumentisti francesi; il Vanguatrfo creato nel 1973 dal bandoneonista Néstor Marconi, che nel 1989 festeggia l’uscita del suo centesimo disco; Litto Nebbia, nota figura del rock, transita i sentieri del tango; Hamlet Lima Quintana suona con la kena andina la Milonga de mis amores; anche il charango di Jaime Torres fa capire che l’AltipIano
Tranne qualche eccezionale esempio di solista come Agustfn Carle­varo e Roberto Grela, entrambi del 1913, dai tempi antichi delle forma­zioni itineranti la chitarra riappare solo nei complessi di tango contem­poraneo. Ubaldo De Lfo, sin dal 1957 in eccezionale duo con Salgàn, e poi insieme ancora nel Quinteto Rea!. L’uruguayano Alberto Mastra, nell ‘Orquesta de los Astros, Mario Ntifiez (1929), Cacho Tirao (1941), Tomas Gurvitch (1957). Nella chitarra si congiungono le tecniche del jazz e della musica classica; va notato che Andrés Segovia ha passato lunghe stagioni nei paesi rioplatensi, creandovi una scuola.
5.3 Verso fusioni future
Occorre ricordare, rischiando di escludere tantissimi altri complessi di tango, il Sexteto Mayor, sin dal 1973, formato dai bandoneonisti Luis Stazo (1930) e José Libertella (1933), dal contrabbassista Enrique “Ki­cho” Dfaz (1918), che torna a suonare con l’archetto come nella musica classica, dai violinisti Mario Abramovich e Mauricio Mise, e dal pianista Juan Mazzadi; Domingo Federico, orchestratore di grande sostegno a cantanti solisti, originale compositore delle canzoni-tango nate dalla penna di Homero Exp6sito; il direttore Raiil Garello, autore di tanta
può nutrirsi di tanghi; nel quartiere La Boca, un esperto sorprende l’auditorio suonandoli con un sughero fra le labbra; Hugo Dfaz, con l’armonica; l’uruguayano Héctor Ulises Passarella (1955), approdato in Italia, che da bambino è cresciuto nelle orchestre di tango, non ha mai disertato l’aspra battaglia di suonare Bach al bandoneon; il bandoneoni­sta Rodolfo Mederos (1941), inquieto allievo di Piazzolla e di Pugliese, compositore e arrangiatore di inventiva a fronte di vari raggruppamenti.
Musica rarefatta, priva della scansione regolare della battuta, da riscoprire ogni volta, alla maniera di una jam session. Si assiste sempre pi ù, sulla strada del tango, a congiunzioni musicali di personali tà all’ api­ce della loro esperienza e del loro talento, che fino ad allora erano situate in versanti differenti, spesso incomunicanti. Incontro perfetto voluto dal caso è quello, intitolato Nieblas del Riachuelo*, tra il violinista jazz cileno-argentino Hernàn Oliva e il pianista e organista jazz argentino Mito Garcfa. Incontro deflagrante è quello del 1996, in omaggio a Mi Buenos Aires querido*, voluto fortissimamente dal pianista e direttore d’orchestra argentino Daniel Barenboim (appena lasciata la guida
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T COME TANGO
dell’ Opera di Stato di Berlino) con il bandoneonista Rodolfo Mederos e il contrabbassista Héctor Console. Con uno Stradivari del 1734 il violi­nista lèttone Gidon Kremer, plurivincitore di premi internazionali, rende omaggio a Piazzolla. La si chiami “Grand Tango” o piazzollianamente “Musica de la ciudad de Buenos Aires”, anche questa musica è nata dal mcticciaggio culturale. Nuove reazioni chimiche si sono compiute nello stupefacente crogiolo che, da oltre un secolo, ha visto fondersi tante popolazioni, tanta nostalgia e tanti stili. E per meglio apprezzarle, vale ricordare che pianisti concertisti argentini come Daniel Barenboim e Martha Argerich si sono formati alla stessa scuola dei migliori pianisti di tango; quella dei maestri Vicente Scaramuzza e Pedro Rubbione, italiani emigrati.
5.4 iAI Colon!
Il Teatro Colon, tempio della lirica e della musica colta, ha aperto per prima volta le porte al tango il 18 settembre 1933, con un programma misto in tre parti: la prima, di musica sinfonica; la seconda, di jazz e canzoni internazionali e la terza di tango, a carico dei cantanti Carlos Gardel, Agustfn Magaldi, Libertad Lamarque, Ignacio Corsinì e Merce­des Simone, accompagnati dalle orchestre di Osvaldo Fresedo, Francisco Canaro, Roberto Firpo e Julio De Caro. Nel 1968 è la volta del Sexteto Tango diretto da Julian Plaza, ex bandoneonista diventato pianista, e di Piazzolla a fronte del suo Noneto. Nel 1972 vi suona Florindo Sassone, violinista, a capo della sua orchestra stile Guardia Vieja, e anche Horacio Salgan, uno dei maestri della tendenza evoluzionistica, col cantante Roberto Goyeneche. Il 26 dicembre 1985 Osvaldo Pugliese e la sua orchestra, e i suoi solisti storici, tiene il suo primo concetto al Colon. Nel maggio del 1992 il bandoneonista Leopoldo Federico suona Adios No­nino come solista con l’Orquesta Filarmonica di Buenos Aires diretta da Pedro Ignacio Calderén. “jAI Colon, al Colon!”, è l’augurio che grida il pubblico argentino con l’applauso fragoroso. E il Colon continua a ospitare le figure più rappresentative del tango.
5.5 Parallelismi fra il tango e il jazz
Tango, fado, bolero, samba e jazz, sono generi musicali e fenomeni sociali prodotti dal meticciaggio culturale che nascono e si sviluppano nella stessa epoca. Popolari, ma non folklorici, né rurali, né regionali. Una sorta di folklore musicale urbano, il che costituisce un evento completamente nuovo in materia di musica. Un quadro sinottico che li contemplasse tutti e cinque, di certo rivelerebbe coincidenze stupefacen­ti, sincronie assolute. Contentiamoci di portare il paragone su due sol­tanto.
5.5.1 Origini
Etimologia incerta. Nascita intorno al 1880 (ragtime). Luogo, città­porto (New Orleans).
5.5.2 Caratteri socio-culturali
Apporto africano. Influenza della migrazione interna, uomini prove­nienti dalle zone rurali, instabili, emarginati. Passaggio dal mondo con­tadino a quello industriale. Il folklore nero delle campagne entra nel jazz, come il payador nel tango: gusto per la performance, risorse da sfruttare nelle gare. Influenza dell’ultima ondata di emigrazione europea che si palesa nei nomi dei cultori, nei modi di dire dei testi. Particolarità espressive. Prodotto di meticci aggio. Maniera di rappresentarsi di comu­nità umane differenti. Forme musicali e letterarie alternative rispetto a quelle della classe dominante. Testimonianza di un microcosmo nazio­nale sottaciuto dalla cultura ufficiale.
5.5.3 Diffusione e pubblico
Inizi in circoli ristretti e omogenei. Assistenza di un pubblico estraneo che provoca le esibizioni clownesche dei primi cultori.
Periplo che, dalla strada, i quartieri emarginati, i balli popolari, i cinematografi, passa ai locali (i clubs), i caffé di lusso, i grandi teatri. Quartieri tipici: Harlem a New York, La Boca a Buenos Aires. Occasioni particolari: il Mardi Gras di New Orleans, dove nella strada principale del centro maschere coloratissime sfilano a ritmo di blues, e il carnevale di Montevideo, dove la calle 18 de Julio diventa “el corso” con le comparsas che sfilano a ritmo di candombe, passano sui palchi dei tablados di periferia, mentre nei veglioni dei grandi teatri e dei casinò si balla il tango con le orchestre.
Grande lancio internazionale del ballo nel 1912-1913. Così come si
rtuno presentati Villoldo, i Gobbi, Simarra, appaiono sulle scene d’ Eu­ropa la OriginaI Dixieland Jazz Band (1919, Londra). Come Arolas, ( ‘anaro, Fresedo, Bachicha e Gardel, tengono concerti e incidono dischi l.ouìs Armstrong, Duke Ellington, Jimmy Lunceford, Coleman Ilawkins, Benny Carter, Sidney Bechet. Negli Anni Venti e Trenta, il l’III. viene apprezzato e coltivato in ogni paese europeo da elementi locali ,’01 volto dipinto di nero. In minor misura il tango: pionieri Geraldo’s (Iaucho Band di Londra, Melandro’ s Tango Orchestra Holland, masche­rari da gauchos. Invece in Finlandia iljazz prende il nome onomatopeico e scherzoso di humppa (dal suono base della tuba), per ballare in alI ernativa al finnish tango, che diventerà una forma di ballo e di canzone nazionale di grande attrattiva.
Ali ‘interno dei campi di concentramento si permette suonare e ballare il tango, mentre il jazz viene precluso col pretesto di incitare alla ribellione,
Il fox-trot, variante ballabile del ragtime, originerà via via lo slow­tox, il charleston, il black botto m, il rock’n roll, il twist, lo shake, il rnadison e tante altre sottospecie. Il tango, infecondo ma longevo, si ripresenterà indipendentemente dagli altri ritmi “latini” come il pasodo­blc spagnolo, i caraibici bolero, rumba, mambo, conga, cha-cha-cha, la salsa in genere, i brasiliani samba, bossanova e lambada.
Hit parade come numero di versioni in disco: St.Louis Blues, When l/le Saints, da una parte, El Choc/o, La Cumparsita, dall’altra.
5.5.4 Caratteri organici
Peculiarità compositive e interpretative. Musica scritta, subito stam­pata in migliaia di spartiti per pianoforte, ma ritenuta prodotto di analfa­beti, Esecuzioni virtuosistiche di solisti avvezzi alla musica classica (Rapsodia n.6 di Liszt adattata a ragtime, Czardas di Monti suonate al bandone6n) e con spiccate doti per l’improvvisazione. Gruppi di stru­mentisti suonano simultaneamente le loro parti (stile Dixieland, “a la parrilla”). Dalle esecuzioni polifoniche verticali si passa a quelle oriz­zontaI i: uno dopo l’altro, ogni strumentista del gruppo emerge con la sua improvvisazione solistica, secondo un ordine prestabilito e un numero regolamentare di battute, generalmente sedici. Tangana rythm, detto anche mexican o latin rythm, invenzione attribuita a WilIiam C. Handy, riconducibile al “café con pan” di derivazione africana.
Tempo metronomico del l ‘accompagnamento in battuta binaria, ritmo della melodia elastico, rubato, sincopato. Convivenza dei modi maggiore e minore, anche se nel tango uno è destinato alla strofa e l’altro al ritornello. Arrangiamenti con presenza di blue note e di quinte parallele nei tanghisti con pratica jazzistica. Armonie di derivazione europea, partendo dai tre accordi di Tonica, Sottodominante e Dominante per arrivare all’accordo di tredicesima e ai diminuiti. Importanza del piano­forte come strumento solistico e, nell’orchestra, come strumento guida. Strumenti musicali classici, sfruttati per altre prestazioni (“slap” del contrabbasso, “chicharra” del violino). Valorizzazione di uno strumento marginale, aerofono. che diventerà il timbro per eccellenza dei rispettivi generi e rimarrà definitivamente segnato da essi: tromba, saxofono e clarinetto; bandoneon. Interazione fra il timbro strumentale e la voce umana. Inflessioni peculiari del canto, con portamento. Soluzioni ritmi­che originali in un contesto dinamico libero: swing e canyengue. Rinascita della chitarra.
Tematica dei testi del blues e del tango imperniata sulla tristezza, la solitudine, gli amori infelici, l’abbandono.
5.5.5 Evoluzione
Concomitanze tra l’epoca del ragtime e del blues con la Guardia Vieja. Anno ]917, registrazioni storiche Blue in the blues della OriginaI Dixieland Jazz Band e Mi noche triste”, di Carlos Gardel. Qualcuno ha detto che il tango è il blues dell’uomo bianco. Anni Trenta, potenziarnen­to del lato ballabile, in corrispondenza con la swing craze scatenata dal clarinettista Benny Goodman, e con l’entrata del tango nelle feste di carnevale della borghesia. Processo irreversibile di bianchizzazione, più veloce e drastico nel genere rioplatense. Risalto, proprio nel momento della massima commercializzazione, di molti personaggi tra i più signi­ficativi: Count Basie, Tommy Dorsey, Ella Fitzgerald, Benny Goodman, Jimmie Lunceford, Glenn Miller, Arti e Shaw, Chick Webb, come Calo, Fiorentino, Fresedo, Salgan, Troilo, Tendenza, dopo la Seconda Guerra, a esplorare il campo della musica contemporanea apertosi con la polito­nalità, l’atonalismo, l’aleatorietà, le ricerche elettro-acustiche. Alto gra­do di professionismo. Esibizioni in luoghi precedentemente riservati alla musica colta, davanti a un pubblico silenzioso e attento.
5.5.6 Analogie artistiche tra gli autori
I primi pianisti Joplin, Blacke, Jelly Roll Morton, come Mendizabal c Firpo. Duke ElIington, il suo stile jungle, l’orchestra impressionistica, come Julio De Caro. Fats Waller, per l’indubbia validità e il lato esibi­zionistico, come Enrique Delfino. Lester Young, precorritore del bebop e del cool jazz, come Trai lo. Paul Whiteman e André Kostelanetz per le esperienze sinfoniche, Stan Kenton per il progressive jazz, come Calo e Mores. John Lewis per l’uso della variazione partendo dalla musica harocca europea, come Atilio Stampone. Charlie Parker, Dizzy Gillespie c Bud Powell per il bebop, e John Coltrane, Ceci I Taylor, Omette Coleman, Albert Ailer, Archie Shepp per il free jazz, le problematiche soll evate, le aperture alle modalità e ai timbri orientali, l’aggressività, la volontà di recuperare i] primitivo e di allargare i canoni consueti, come il tango contemporaneo di Piazzolla, Rovira, Mederos, Trasante.
5.5.7 Vite emblematiche
Casi limite all’insegna dell’alcol, la droga, lo sperpero autodistrutti­vo: Blind Lemon Jefferson, Bix Beiderbecke, Charlie Parker, Billie Holiday, come Arolas, Juan Carlos Cobian, Romeo Gavioli, Orlando Goni, Carlos Ro]dan, Ju]io Sosa. In preda alla follia: come Bud Powell, Pascual Contursi. Destini catastrofici: Beiderbecke, John Coltrane, Billie Ho11iday, Glenn Miller, Bessie Smith, Charlie Parker, King Oliver, Lester Young, come Arolas, Sosa, Goni, Susy Leiva, Osmar Maderna, Fiorentino, Carlos Gardel nell’incidente all’aeroporto di Medellfn insie­me a Le Pera e ai suoi chitarristi Barbieri e Riverol, Aguilar che, sopravvissuto, morirà in uno scontro automobilistico. Pianisti attinti dalla cecità: come Ray Charles, Enrique Delfino. Maestri ultra-nonage­nari: Irving Berlin, Stephan Grappelli come Enrique Cadfcamo, Coria Pefialoza, Pugliese. Ripida ascesa dall’ anonimato e la miseria al successo internazionale e alla ricchezza: Lena Home, Louis Armstrong, come Canaro, Rivero, Gardel.
5.5.8 Particolari curiosi
Uso di soprannomi caratteristici per designare i loro cultori: Jelly Roll, Count (doppi sensi?), Duke, Fats; “El Tigre” Arolas, Gardel “El Mudo”, Discepolfn “El Naso”, Troilo “El Garda”.
Mentre per eseguire il jazz nessuno più si tinge di carbone il viso, molti ambienti ancora vogliono il tango in costume.
Mentre nessuno più oserebbe associare il jazz al bordello, col tango l’identificazione è automatica.
Le esegesi del jazz sono realizzate in genere da critici musicalmente preparati; nel tango non esiste altrettanta competenza: spesso si confon­dono i bassi con il pianissimo, le ottave con gli ottavi, la forma suite con la forma sonata, i recitativi con le parti recitate, i cromatismi con i colori dipinti sugli strumenti; si straparla sugli accordi del violino; si asserisce che aprendo o chiudendo le valvole del bandone6n cambia l’espressione; si pensa che la diteggiatura sia una questione di stile e possa essere percepita da chi ascolta, anche dall’ultima fila di galleria e a occhio nudo. Ci si perde in questioni di lana caprina come il tango andaluso o le prostitute polacche.
6. Il tango e le donne
6.1 Emarginazione sui generis
E’ doveroso destinare un capitolo a parte alle donne, così trascurate, vilipese e vigliaccamente strumentalizzate dal tango. L’emarginazione pi ù drastica che hanno avuto è quella anagrafica. Come se i l nascere fosse un vizio da tenere occulto, le donne del tango sono state decurtate del primo e definitivo fatto che conta nella vita. Non sono mai nate. Molte sono morte, saltando però la condizione opposta. I dizionari, le interviste, le pubblicazioni in genere, persino quelle che registrano i fatti più inconsistenti, privano le donne della data di nascita. Questa data soggetta a cauzione si scontra con quella del debutto, che di solito avviene pubblicamente davanti a testimoni, il che fa pensare che siano quasi tutte bambine prodigio, e che talvolta la loro precocità si sia rivelata in età intrauterina.
6.2 Più attive di così …
Detto questo, occorre vanificare alcuni equivoci relativi al ruolo della donna. Nel ballo, per esempio. La tanto conclamata passività è apparente, non effettiva. L’abbandono a chi la guida è necessario e funzionale, come in tutti i balli di coppia unita. All’uomo spetta il compito di farsi strada fra gli altri, con la compagna. La donna deve profittare di qualsiasi cosa le offra l’uomo, lo spazio, l’occasione di lustro e di creatività. Lei non è inferiore, ma sicura di sé. Lui non la guarda? Neanche lei guarda lu i, guardane! vuoto per concentrarsi, per poter seguire megl io il segnale, la pressione della mano di lui sulla sua schiena.
Le donne hanno sempre ballato il tango. Il ballo tra uomini era ed è ancora un utile apprendistato, una sorta di simulazione per arrivare preparati all’incontro reale con le donne. Con l’avvento del grammofono o del pianino meccanico, tutte cedono alla tentazione: le donne di mal affare e quelle dabbene, tra loro, madri e figlie, o coi maschi alla loro po~tata, dai quali raccolgono qualche segreto coreografico. Le ragazze si chiudono per sentire la musica di loro gusto, tenendo basso il volume della r~dio o togliendo la cornetta al grammofono perché i grandi non protestino. Imparano a danzarlo a puntino frequentando i balli “formati­vos” nei cortili dei casermoni popolari, nei pergolati delle associazioni di emigrati, dove tutti si conoscono come una grande famiglia.
Se gli spartiti per pianoforte e piano/canto si pubblicano in un cospicuo numero di copie, sin dagli inizi, vuoI dire che nelle case b~nestanti, ~elle associazioni culturali e ricreative di una certa categoria, SI suona e SI canta il tango, e, ovviamente, lo si balla. Negli anni Trenta e Quaranta è una pratica generalizzata, divertimento, socializzazione maniera di esprimersi. Molte coppie nella vita si sono conosciute durante i balli. “Avevamo tre minuti soltanto (la durata di un tango) per fare colpo su di lei, e perché ci permettesse di invitarla ancora”, raccontano i baller!ni di quei tempi. Ancora oggi, la quasi totalità delle coppie di ballenni professionisti sono marito e moglie.
. Le do~ne hanno sempre cantato il tango. In casa, nelle feste private, nel salotti, sulle scene. Accompagnandosi al piano o con la chitarra oppure a cappella. Un’attrice non era completa se non sapeva anche cantare, chi facendo leva sulle qualità drammatiche, da diseuse con spiccato senso del ritmo, o a fior di labbra, intonata; chi sulla bellezza fisica e lo stile del canto. Dapprima definite come cupletistas, tonadille­ras, estilistas, passeranno a chiamarsi cancionistas, oggi cantantes. Molte r~ga~ze umili, operaie della sartoria, fiammiferaie, a servizio, sognavano di diventare attrici o cancionistas. Suonare il piano e cantare erano peraltro le qualità più esibite dalle ragazze di buona famiglia, le cui scelte musicali generalmente si orientavano verso l’opera lirica o i pezzi di salo~. :’Para matizar”, per variare, mettevano sul leggìo lo spartito dell ultimo tango, quello che era stato consigliato loro dal pianista del negozio di musica (mestiere scomparso), e si azzardavano anche a cantarlo. Subito gli stessi parenti e i vicini di casa facevano circolare commenti sulle agili dita e le qualità vocali della tale ragazza, e così il suo. avvenire era assicurato, almeno nel compito di rallegrare le feste, le COSIddette “rutinas” di compleanno che servono a farsi le ossa.
Incontabili le cantanti professioniste, che forse superano il numero dei colleghi maschili. Rare invece le strumentiste del tango. Le anonime componenti delle orchestre di signorine, istituzione pomeridiana del café concert che scompare intorno agli anni Cinquanta, trovano difficoltà di impiego, sia per la quantità di musicisti uomini, sia per una legge in difesa del lavoro femminile e minorile che vieta loro le ore notturne. Per quel che riguarda le creatrici, nel tango si ripete probabilmente la stessa proporzione che c’è fra compositori e compositrici nella musica classica, () nella musica leggera internazionale.
Prima di seguirle tutte insieme in ordine suppostamente cronologico, bisogna dedicare un cammeo a una precorritrice, Eloisa d’Herbil de Silva.
6.3 Un cammeo per Eloisa
Il caso di questa musicista, venuto alla luce grazie al puntuale lavoro di ricerca di Oscar Himschoot, del Club del Tango di Buenos Aires, basterebbe a ribaltare i non pochi luoghi comuni che si sono cristallizzati intorno a questo genere musicale: le cosiddette origini postribolari, il preteso riggetto degli ambienti perbene, sia nei confronti del ballo, sia nell’uso del lunfardo, il sedicente analfabetismo musicale dei composi­tori e degli interpreti, estranei alla carta pentagrammata e privi di tecnica di esecuzione specifica.
La marchesa Elofsa d’Herbil, nata a Cadi ce nel 1842, morta a Buenos Aires a 101 anni, discendente dei duca di Accadia di Foggia e dei Cannito, principi di Loreto, pianista prodigio, allieva di Franz Liszt e di Gottschalk, premiata da Isabella II di Spagna e dalla regina Victoria, si è esibita come solista con le orchestre principali d’Europa, e visse tra Buenos Aires, La Habana e Rio de Janeiro, perché suo padre Joseph importava la carne e il tasajo argentini destinati al consumo degli schiavi brasiliani e cubani. Sposa Federico de Silva y Barbosa, un nobile UTU­guayano proprietario di un’ asta e direttore di una società filarmonica. Nel 1872 esegue al teatro Colon una sua habanera Vente a Buenos Aires, e compone diversi tanghi criollos da concerto, tra i quali Che, no calotiés (che nel più illustre lunfardo significa Ehi, non raccontare fandonie), Y a mi qué (Me ne frego), Que si que no e La Multa del 1889. Secondo le usanze dell’ epoca, il testo è costituito da brevi strofette cucite addosso per una particolare occasione, un noto evento di cronaca, di costume. Il tema di La Multa, riferito alla contravvenzione di 50 pesos che era tenuto a pagare chi per strada rivolgeva un complimento a una donna, anni dopo sarà ripreso, in una divertita schermaglia, da Angel Villoldo, col tango Los cincuenta, al che Eloisa risponde componendo fo soy la Rubia (lo sono la Bionda), parodia del famosissimo La Morocha* del 1906, dello stesso Villoldo. Più integrata di così!
6.4 Le prime
, Pepita Avetlaneda, ali ‘~nagrafe Josefa Calatti, cupletista del varietà, e una delle pnme cantanti di tango. Appare nel 1900, nei teatri e nei cabaret delle due rive. Si accompagna con la chitarra. Usa vestirsi da
11111110, con fazzoletto al collo. Entra come attrice nella compagnia di lhucncio Parravicini, e per la sua straordinaria bellezza diventa la stella luvorita di Buenos Aires, poi si eclipsa inspiegabilmente, per tornare t11~trulta, in miseria, come guardarobiera del “Chantec/er”, e finire i suoi W IlIl’Il i nel 1951. Chissà quanti testi imperniati sulla decadenza improv-
visa della donna non siano stati ispirati dalla leggendaria Pepita.
Flora Rodrìguez parte nel 1903 all’ avanscoperta dell’Europa insieme III marito Alfredo Gobbi e a Angel Villoldo, e con loro balla, canta e Il’gistra a Parigi per la prima volta tanghi e canzoni e ritmi del folklore l ioplatcnse.
Nei primi anni del secolo, nella pubblicità relativa ai “migliori tanghi ercoli”, insieme ai nomi di Bevilacqua, Rosendo, Saborido e Villoldo e 111 rigoroso ordine alfabetico figurano nomi di donna: Juana Giroud I ‘alcni compositrice di Con su permiso e Ah, criollo lindo. Maria Torres Caarnaìio, di Me quieres.
Linda Thelma (al secolo Hermelinda Spinelli) registra, nell’anno IlJOR, El Pechador (“Lo Scroccone) di Villoldo.
Rosita Quiroga è la prima a cantare per radio, accompagnandosi con la chitarra, strumento che le aveva insegnato a suonare Juan de Dios
I iii iberto. Contratta il paroliere Celedonio E. Flores in esclusiva, senza tuttavia riuscire di legare il suo nome a qualche brano importante. Forse questa sua specializzazione nel repertorio lunfardo, la pronuncia farcita’ di esse fricative, in netto contrasto col suo aspetto di donna bellissima e ìinc, le ha tolto credibilità. Ha composto il tango Carta brava.
Azucena Maizani “La Nata gaucha” (soprannome difficile da tradur­le: c’entra col naso camuso dei bambini, c’entra col gaucho, soprattutto ilei senso di bontà) debutta nel 1920 con l’orchestra di Francisco Canaro. fil scena si maschera da gaucho, con chiripà nero di seta, ricamato: il doppio travestimento si deve senz’altro alla carenza di norme in propo­sito, e alla moda europea dell’epoca che costringeva i suoi compagni di lavoro a siffatto abbigliamento. Nel 1928 Azucena lancia al Teatro Portefio il tango di Discépolo Esta noche me emborracho*. Famosissima, grassoccia e bruttina, molto amica di Gardel, da chi evidentemente non ha imparato a scandire i tempi di battuta né il fraseggio, che fa a scatti, meccanicamente, ottenendo un effetto assai ridicolo. Collabora ai testi di alcuni tanghi, tra i quali il più noto è La cancion de Buenos Aires*. Non ha seguito. Gli anni incalzano, lei non demorde, e il pubblico, che prima l’aveva incensata, manifesta la sua disaffezione con ortaggi vari.
Francisca “La Paquita” Bernardo (1900-1925) non è l’unica, bensì la più grande della mezza dozzina di bandoneoniste donne della sua epoca.
Debutta nel 1921 nel Café Dominguez della vecchia Calle Corrientes (dove successivamente prenderà posto i I caffé “Las 36 billares “) insieme a un giovane pianista, Osvaldo Pugliese e a un giovane violinista, Elvino Vardaro. Era tale l’attrattiva eserci tata sul pubblico da questo eccezionale trio, che ogni sera il traffico doveva essere fermato a Parana, la traversa di Corrientes. Paquita compone un valzer dedicato a Montevideo, “Divi­no cerro”, e un altro intitolato “Villa Crespo” in onore al quartiere dove era nata. Gardel ha registrato due tanghi scritti da lei: Sonando e La En masca rada. Muore di tisi a venticinque anni; sulla sua tomba alla Chacarita non mancano mai i fiori.
Maria Luisa Carnelli (1898-1987), poeta, giornalista, corrispondente al fronte nella guerra civile spagnola, paroliera di canzoni tradizionali e di tanghi, coi nomi d’arte maschili di Luis Mario o Mario Castro. Julio De Caro compone la musica del suo primo tango, El Malevo (uno dei cavalli di battaglia di Rosita Quiroga), del 1928, e anche di Dos lunares e Moulin Rouge; Primer agua, sarà invece musicato da Francisco De Caro; Linyera e Cuando /lora la milonga, da Juan de Dios Filiberto; Pa’ I cambalache, da Rafael Rossi; Quiero papita e 18 kilates da Ernesto Ponzio; Luna roja da Luis Tesseìre; Se va la vida e Conio me gusta da Edgardo Donato.
Sofia “La Negra” Bozàn (1904-1958) calca le scene sin da bambina con I a cugina Olinda Bozan. Poi, in seno alla compagnia Muifio- Alippi, diventa per vent’ anni la stella incontrastata del Maipo, il massimo teatro di riviste di Buenos Aires. La Bozan impone uno stile burlone e spregiu­dicato cantando tanghi umoristici, che porta con successo in Europa. Un lavoro basato sulla gestualità e la straordinaria presa sul pubblico, che purtroppo non risulta dai dischi. Appare accanto a Gardel nel film “Luces de Buenos Aires”.
Tita Merello (all’anagrafe Maria Isabel Bergero De Hess) è innanzi­tutto attrice, ricordata protagonista di “Filumena Marturano” di Eduardo De Fil ippo. Quando affronta il tango lo fa da caratterista, così i l repertorio di Discépolo, così i ritratti di ragazze del sobborgo scritti apposta per lei, come Arrabalera* e Pipistrela, che nessun’ altra riuscirà a cantare senza
scimmiottarla. .
Libertad Lamarque ha saputo conquistare legioni di ammiratori, sia come protagonista di film (“Besos brujos”, “Ayudame a vivir”, “La ley que olvidaron”), sia per le canzoni che sono state dedicate a lei, come il lango Madreselva*, il nostalgico valzerino Caseron de tejas o la milonga Negra Maria, rimaste scolpite nella memoria con la sua voce inconfon­dibile. Nemica acerrima di Eva Peron, si esilia in Messico, e lì, fuori dagli stereotipi del cinema argentino, che la voleva vittima sacrificale lacrimo­sa, Luis Bufiuel la riscopre, mettendo in evidenza la sua classe, la sua magnifica presenza, il suo dominio della materia tango e della canzone in genere. Tuttavia, ripreso il vecchio ruolo della masochista, ricompare come protagonista della telenovela “Soledad” andata in onda in Italia negli anni Novanta, dimostrando un’indefinita miracolosa età di mezzo.
Mercedes Simone (1904-1990) proveniente dal ballet, è indubbia­mente la migliore cantante della prima epoca. Un registro più grave delle altre, una grande duttilità che le consente di abbordare l’espressione drammatica, quella comica, quella malinconica, quella rude, dando il giusto peso a ogni parola del testo. Prima donna a capo di un’orchestra “tfpica”, Mercedes compone vari brani, come Diga agente, Gracias a Dios, lnocencia, Incertidumbre, Tu llegada, e Cantando, che diventa la sigla di ogni sua performance. Per la voce, la spigliatezza scenica e l’avvenenza, Mercedes Simone sarà richiesta dal cinema argentino degli anni Trenta. Una vera fondatrice.
AdaFalc6n (1905-), “LaJoyita argentina” (il gioiellino), questo il suo
nomignolo quando da bambina cantava tonadillas; oechi verdi stupendi e solido lavoro di voce, di stile. Si esibisce come solista, anche in duo con Ignacio Corsini, nelle orchestre di Canaro e Fresedo. Arriva a incidere anche quindici dischi al mese con l’Odeon, e a percepire guada­gni altissimi negli anni Trenta. Ma, appena le è possibile, Ada fugge dal pubblico isolandosi in una saletta privata di radio El Mundo. Come Pepita Avellaneda, abbandonerà improvvisamente una eosì brillante carriera,
Soherhja cteaei6n de MF.RCEOES SIMONE
per ritirarsi in un’umile casa (o convento?) di Salsipuedes, un paesino di C6rdoba.
Herminia Velich (1909-1956), cantante e attrice ha scritto Cualquier cosa, e Porque soy reo, registrati da Gardel.
Amanda Ledesma vince un concorso di canto al cinema Gaumont, debutta nel 1930, lavora in spettacoli di rivista al Maipo, anche insieme a Josephine Baker. Brillante attrice di film argentini e messicani, va in toumée in tutta l’America Latina insieme al pianista e direttore d’ orche­stra Héctor Stamponi; durante dieci anni risiede in Messico, dove la chiamano “La Dea Bionda del tango”. Torna a Buenos Aires nel 1955 per dare un concerto d’addio e dedicarsi appieno all’industria gastrono­mica.
Raquel Notar è l’autrice di Golondrina, noto tango canci6n con la musica di Sebastian Piana, che cita i romantici versi (“Torneranno le rondini oscure” … ) del poeta spagnolo Gustavo Adolfo Bécquer.
Tania (al secolo Ana Luciano Divis), nata in Spagna, parte musical­mente dalla tonada spagnola, e si dedica al tango nel momento in cui conosce Discépolo, che diventa suo marito nonché l’autore dei suoi maggiori successi.
Alba Solfs (all’anagrafe AngelitaHerminia Lamberti), da adolescen­te, col suo vero nome, canta canzoni del folk.Iore insieme a Eladia Blàzquez, finché vince il secondo posto in un concorso per la Voce del Tango. Prende parte a riviste con Héctor Varela, Francisco Canaro, Mariano Mores, Discépolo, molti film e non tanti dischi.
NelIy amar, “Gardel con le gonne”, da molti considerata la più grande in assoluto; nel I 948 lancia il tango Sur*; sempre accompagnata da chitarre, a volte con l’aggiunta di un’arpa, continua a cantare anche dopo gli 85 anni.
Ranko Fujisawa, pur essendo giapponese, fa parte della storia del tango rioplatense per le sue esibizioni nel 1953, 1954, 1957 e 1964, accompagnata dal marito il direttore d’orchestra tipica Shimpel Hayaka­wa. Vestita sempre col kimono, Ranko stupiva il pubblico col suo stile borgataro e la pronuncia perfetta, che aveva imparato per imitazionefo­netica, senza conoscere una parola di spagnolo né di lunfardo.
6.5 La generazione di mezzo (forse)
SusanaRinaldi “La Mujer del Tango” o “La Tana”, di padre italiano, è in scena dall’anno 1965. Proviene dalla scuola d’arte drammatica, ma col tempo la sua articolazione e la gestualità sono diventate maniera; una, troppo “soffiata” e gutturale, l’altra, troppo palese. Abbondanti rallen­tando. Intonazione assolutamente infallibile. Ama variare il suo reperto­rio di tango con valsecitos, milongas- candombe, zambas.
AmelitaBaltar, cantante completa, balza improvvisamente alla noto­rielàcon l’interpretazione della Balada para un Iaea di Ferrer-Piazzolla. S i autodefinisce “persona assolutamente frontale”. Espone innanzitutto il testo, forte delle soluzioni musicali imparate a fianco di Piazzolla. Suona con gusto intirnistico la chitarra. Tenta altre vie intorno al tango, sia con strumenti e complessi rock (con musica di Alberto Favero e Rodolfo Sciamarella, parole di Elio Marchi), sia come forma espressiva cittadina (Baglietto-Abonizzio).
Tutte di collaudata professionalità, fra le cantanti di questa rieca generazione emergono Marfa Grana, personalità poderosa, voce della stessa pasta di Mercedes Simone; Susy Leiva, fraseggio dall’originale dinamica, filati calibratissimi, meteora prematuramente scomparsa in un incidente; Carmen Duval, vincitrice tra migliaia di un premio radiofonico come “La Aficionada 184”; Virginia Luque, ampia gamma di risorse espressive drammatiche; Rossana Falasca, ineccepibile dominio delle sfumature; Valeria Lynch, forte temperamento, Elsa Moran, apportatrice di un nuovo repertorio, Adriana Varela sulla scia di Goyeneche, Nelly Vazquez …
Beba Pugliese, figlia di Osvaldo, pianista di formazione classica, sterza verso il tango, mettendosi acapodi unasuaorchestra. LfaCimaglia Espinosa, autrice di musica contemporanea, compone Tango ’70. E tante altre, situate sulla labile linea di demarcazione dei generi: Carmen Guzman, Margarita Duràn, Maria Elena Walsh, Mandi. Maria Cristina Laurenz registra una Antologia de Canciones de Pedro, cioè canzoni musicate da suo padre, il grande bandoneonista e direttore d’orchestra Pedro Laurenz.
6.6 Cantautrice Eladia
Eladia Blazquez, come Gardel, arriva al tango dopo una lunga fre­quentazione del folklore, come Gardel compone musica su testi di altri, come Gardel li canta. E in più (sia detto con tutto rispetto, senza intenzioni fiscali) scrive le parole sulla musica di altri (e che altri!), come i piazzolliani Adi6s Nonino e Invierno porteiio, nati con destino pura­mente strumentale, oppure in binomio con Atilio Stampone, Ese mucha­cho Toni, Fiesta y milonga, o con Chico Novarro, Convencemos. Legata alla tradizione spagnola dei genitori, Eladia scrive (musica e testo lette­rario) appassionate canzoni alla sua città e alla sua gente: Vivir en Buenos Aires (“Nel tuo porto voglio ancorare la mia vecchia barca, eleggerti per sempre la mia contrada e portare come una marca la tua canzone, la mia tenerezza si nutre del tuo pane che sa di strutto e muore d’amore per te” … ), La voz de Buenos Aires (“Così è nata, dal desiderio della propria identità, impastata col fango e l’umidità, su, su, inventiamo le crome e i versi al rovescio della musa triste e malandrina” … ), Abril en mi ciudad, Domingos de Buenos Aires, Amor por Buenos Aires, El corazon de tu violin”, El miedo de vivir* M i ciudad y mi gente”, premio al Festival della Canzone del 1970, grandissimo successo. E inoltre, brava cantau­trice dalla voce insolita che si stacca da tutte le altre, le esegue, accom­pagnandosi al piano, o in mezzo a generosi gruppi orchestrali formati dai suoi colleghi che le manifestano anche così la loro stima e i I loro affetto. Oh poliedrica Eladia, ci volevi proprio.
6.7 Le ultime
Dell’ultima generazione svettano, a Buenos Aires, Patricia Barone e Silvana Gregori, cantanti “con mucha polenta” (dalla grande grinta), che sanno fare attraenti esegesi storiche sul tango, e spettacoli tematici con abbondante ironia e una punta di femminismo. A Parigi, la massima esponente femminile del tango è Haydée Alba, cantante che traccia altri ponti con la musica e realizza nuove sintesi di culture e ambienti. Haydée Alba magnetizza l’attenzione del pubblico in “Mortadela” e “Fausto argentino”, gli spettacoli di Alfredo Arias, brillante regista argentino di stanza a Parigi.
6.8 M come Mujer o Mina (in Lunfardo)
La Morocha* inaugura la lunga galleria di M come donna, e la seguono la bionda Mireya di Tiempos viejos*, Milonguita, Muiieca brava*, Madame Yvonne*. Alcune somigliano a quelle vere, in carne e ossa, che abbiamo appena sentito cantare: la Maizani, la Merello, e Mercedes, Maria Grana, Maria de la Fuente, Maria Garay, Maria José, Monica Lander. O a Maria Luisa Carnelli, corrispondente di guerra e paroliera. O a Maria la Vasca, una delle prime proprietarie di sale da ballo, e a tutte le madri maiestàtiche martoriate mugolone ~utualiJtiche  morigerate micragnose mogie mogie moribonde che per fortuna ce n’è una sola, e il tango ospita in parcheggio limitato.
Passano fugaci le eroine del romanzo d’appendice, le Mimi e le Manon (Siempre Parfs*, La que murio en Parfs*), consumate dal male di Koch. Da MarfaEster a Malena, si nominano da un tango all’altro: Asi se balla et tango”, Tai vcz sera su voz*, Malena”, sempre più astratte. Alcune sono irripetibili, come la Negra Maria o la mulatta dagli occhi celesti che chiamano Moneda de cobre”, Altre come Margot* trabocca­no, uscite dal sainete di Vacarezza “Tu cuna fue un conventillo” e stanno scnz’altro agli antipodi della crepuscolare Maria”, grondante dei versi di Verlaine “ll pleut sur mon coeur camme il pleut SUI’ la ville”.
Un’infima parte dei testi sono declinati al femminile. Il capostipite, anche in questo, è La Morocha * di Villoldo, con la notissima sequela di Haragan, Arrabalera*. Madreselva *, e Guapo sin grupo”, una sorta di educazione sentimentale per la compagna del guappo. Altrimenti, le donne presentano i tanghi scritti al maschile, così come sono, alla lettera, anche un Malevaje” o una Milonga sentimental”; talvolta cambiano qualche parola, come in Nostalgias* (dove dire “abandonada” anziché “abandonado”, impedisce la rima con “a tu lado”); oppure recitano un’ epigrafe costruita apposta dal paroliere (come quando Ferrer riadatta la Balada para !III loco per Amelita Baltar). Le donne si adeguano, agiscono come se fossero uomini. Gli uomini, avendo un maggiore campo di azione, arrivano a mettere sulla carta uno sconsolato tango femminista come Amor desolado*; qualcuno doveva farlo.
7. I Papà Villoldo
Angel Gregorio Villoldo (1868-1919), padre del tango, vero “hombre orqucsta”, personalità sfaccettatissima, tipografo, clown da circo, mac­(‘d laio di mattatoio, direttore di un coro di carnevale, paroliere, chitarrista c armonicista, compositore e cantor, scrive ritratti per lo più pittoreschi l’ satirici, che offrono un’inestimabile testimonianza dell’epoca: El co­rhcro de tranway, El Porteiiito, El Nene, El Pechador, El mozo bien, La Morocha*, i primi a varcare l’oceano alla conquista dell’Europa.
7.2 Sopravvalutata notte
Si considera giustamente una data storica il 14 ottobre 1917, quando Carlos Gardel eseguì al Teatro Esmeralda di Buenos Aires (oggi Maipo) Il primo tango del suo repertorio, precedentemente costituito da canzoni lolkloristiche. Tuttavia, Mi noche triste* non è la prima canzone tango, come molti affermano.
La musica, non proprio originalissima, già esisteva col titolo di Lita, un tango per strumenti soltanto, di Samuel Castriota (1885- 1932). Castriota a sua volta l’aveva ripresa dal brano ballabile Rosa del cubano Angel Sànchez Carrello, primo premio di un concorso internazionale nel salone Magie City nel 1914. Certo, ne aveva modificato il ritmo, trascri­vendolo in battuta 2/4.
Le parole di Mi noche triste* appartengono a Pascual Contursi (1888-1932). Un testo brutto, goffo, lezioso, rimasto sospeso come in un acq uario, che inaugura i l filone inesauribile dell ‘uomo abbandonato dali a donna, che piange la sua solitudine. Per alcuni sarebbe, tout court, il “lamento del cornuto”, e per altri, sempre in aumento, sarebbe l’avvin­cente storia del magnaccia rimasto senza la donna da sfruttare, senza la “soluzione” economica al suo parassitismo congenito: prova ne sia, osservate, la porta che lui lascia aperta tutta la notte.
A!i noc~e. tris;e intesa come tango è stata talmente sopravvalutata da fare I~pallid~e I altra Noche Triste, quella del 30 giugno 1520, quando Hernan Cortes, sconfitto dagli aztechi nella laguna di Tenochtitlan pians~ I~ morte di cinquecento suoi guerrieri. Senonché queste sconfitt~ n?n SI npeterono, e i conquistatori persero così la grande occasione di piangere ancora sulle loro malefatte e ravvedersi.
Ha detto bene Juan Gelman che nel tema dell’uomo abbandonato da~la d~nna palpita una tragedia universale: si sta forse parlando d’altro, del tanti altri abbandoni e punizioni di questo mondo. Perciò persiste.
Con Fior de fango Pascual Contursi inizia un’ altra tematica che imperverserà fino agli anni Trenta, e cioè la recriminazione alla donna, il ricatto col passato incancellabile d’essere nata in un conventillo di periferia. Più interessante la vena semplice e sentimentale che si esprime in Ventanita de arrabal”.
7.3 Cele il noif
Celedonio Esteban Flores (1896-1942), “El Negro Cele”, umile per­sonaggio del basso, pugile, dallo stile assai ingenuo, abbondante di lunfardismi, colloca l’azione di El bulin de la calle Ayacucho* subito dopo quella di Mi noche triste*. Suole montare un testo con rimproveri moralisti carichi di scherno: ri volti al guappo, come Mala entraiia”, o alla donna che la vita ha trasformato, come Mano a mano”, Margot* e La Mariposa*, quest’ultimo con la splendida musica di Maffia che lo redime. Flores affronta anche il tema sociale, come in Pan*, che traduce in stringate immagini “I Miserabili” di Victor Hugo. Questo tango è stato bersaglio della censura in ripetute occasioni.
7.4 Discépolo l’amaro
Un personaggio de “La Vedova Allegra” (1905) afferma che il valzer non è un ballo, ma un sentimento che si danza. Discépolo ha coniato una definizione simmetrica per il tango: “E’ un pensiero triste che si balla” o, come correggono alcuni, “che si può anche ballare”. Aforisma getto­natissimo, inflazionatissimo, martellante.
Enrique Santos Discépolo (1901-1951), figura filiforme contrasse­gnata da un naso abnorme, alias “El Naso”, “Discepolfn” o “Il Filosofo del tango”, figlio di un musicista napoletano emigrato che dirigeva una banda di polizia a Buenos Aires, fratello adorante di Armando, uomo di teatro e di cultura, marito geloso di Tania, attrice e cantante, è stato considerato, in modo alquanto esaltato, un precursore dell’esistenziali­smo e l’esponente massimo dell’impegno politico del tango.
Discépolo ha dato corpo, musica e testi, a una decina di tanghi cel ebri tra i quali Cambalache”, Esta noche me emborracho *, Uno * e Yira yira* che trasudano uno scetticismo senza sbocchi, autoflagellante. Non esiste rioplatense di una certa età che non li conosca a memoria, anche se non ne condivide la morale. Si pensi a Cambalache*: si duole perché sono scompars~ le gerarchie, I.e differenze; la protesta è generica, puro sfogo ~ualunqU1~t~. Nella.sua VISlOne negativa del mondo, la gente odia sempre I .s?gn~t~n: e sbagliato essere generosi, non resta che il suicidio. I testi pru fe~cI II ha scritti .sulla musica di Filiberto (Malevaje) e di Mores (Cafetlf~ de Buen?s Alres*). Ha anche musicato parole di altri come Le Pera, C.a~ul.o Casti Ilo e Francisco Garda Jiménez attenendosi agli accenti prosodici, In modo semplice e conciso.
.~’ veri~à l~pante, t,utt.avia, che all’epoca, nessun altro argentino, né polIt1C~, ne sc.ntt~re,. ne, glOrn.alista, né poeta, né regista, né pittore, ha espresso megho di DIscepolo 11 malessere del cosiddetto decennio infa­me, 1930-1940, il periodo che inizia col primo golpe militare~ell’Ar-
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TCOMETANGO
gcntina che depone il presidente eletto Yrigoyen. Perciò la dittatura III i I itare del 1976 si preoccupa di vietare Cambalache* . Negli ulti mi mesi della sua vita Discépolo conduce un programmaradiofonico di critica al vetriolo contro la società in genere, e a favore di Peron che, caduto ormai da cinque anni, dall’esilio di Madrid si preparava al ritorno. Muore di anoressia, amareggiato, pronunciando una frase dal tipico humor nero argentino: “Devo mettermi il cappotto, altrimenti come fanno a farmi le punture?”
7.5 A Borges quel che è di Borges
Jorge Luis Borges (1899-1986) non sarebbe stato molto contento nel vedersi citare così disinvoltamente ogni qualvolta si parla del tango, per avallare col suo nome qualsiasi elucubrazione in proposito. Gli si sono aggiudicate frasi estranee al suo stile: “tango, un simulacro di coito con ligurazioni variate” (II Giorno, 20. I I. 1992). Gli hanno persino attribuito il discepoliano “pensiero triste che si balla”, che lui considerava “un epigramma davvero infelice”. L’hanno collocato, bontà loro, fra “i poeti puertefios (sic!) trasformati in inventori di struggenti versi e sensuali passi di danza” (Il Messaggero, 12.] l. I 992), e, in un estremo conato verborroico, sono arrivati a sentenziare: “Il Tango ha convinto il raffinato Borges a scrivere più di un testo per Gardel” (stesso articolo).
Tutta la grandezza di Borges, gli archetipi, le sue elaboratissime situazioni narrative, immaginose e logiche, prive di esperienza, il suo sistema di allusività, premonizioni, allucinazioni, al di là dai fatti di ogni giorno, la sua ceeità fisica, ]’oracolarità, rischiano così di finire nella strettoia di un sottobosco urbano scomparso e diventato caricatura. Il che è ingiusto per Borges. E per il tango.
Borges si avvicinava alle forme para letterari e e popolari, come diver­sivo, per esaurirle subito, magari scrivendo pagine sublimi (“L’uomo dell’angolo rosa”, “Fondazione miticadi Buenos Aires”). Così a Evaristo Carriego, poeta del sobborgo, così a Nicanor Paredes il guappo (“gli copiavamo persino la maniera di sputare”). Totalmente ignorante in materia di musica, Borges ha solo citato i soliti tre titoli di tanghi strumentali della Guardia Vieja, e, tra quelli con parole, apprezzava soltanto La Morocha*, e ciò periI bisticcio racchiuso nei termini “gaucho portefìo”. Lo stesso atteggiamento anche nei confronti del football: come avrà fatto la cultura occidentale, che si è sviluppata con giochi così intelligenti come gli scacchi, a degenerarsi con giochi così volgari come il calcio? Uguale sdegno verso il lunfardo, che erroneamente riteneva linguaggio segreto dei malviventi: gergo poverissimo, composto da una ventina di vocaboli e altrettanti concetti, con alcuni sinonimi e la tattica furbesca di rovesciarli. Intervistato alla televisione, raccontava stupito di un argentino all’estero che, durante una di quelle assurde riunioni in cui si ascoltavano tanghi, gli chiese in intollerabile lunfardo “Batf, batf”, invece di usare il verbo dire.
Borges non ha mai nascosto la sua antipatia per l’emigrazione, specie per gli italiani che si erano radicati nelle foci del Riachuelo e nel suo quartiere, Palermo. A conferma di tale avversione, un’unica eccezione:
Dante, per “il nome longobardo” (infatti la madre gli leggeva la Comme­dia, e insieme ripetevano qualche canto, non l’intera opera, come ha asserito qualcuno). Nel saggio sull’ultrafsmo Néstor Ibarra ricorda che Borges confermava la sua antipatia per gli italiani prendendo in prestito un detto di Carri ego: “Altri sono felici di odiare gli italiani; io devo diffamarli”. Secondo Ernesto Sabato, Borges rifiutava il tango perché era nato dalla sintesi tra l’uomo della pampa e l’italiano. E gli contrapponeva la milonga, la sua forma preferita C’Las seis cuerdas”, in rigorosi ottosil­labi). II tango celebra le circostanze, la milonga il destino, gli eroi. II tango ha un ritmo artificioso, la milonga ha un ritmo naturale, di eternità. II tango è gringo, la mi longa è creola. Comunque, quest’ umanità permane tagliata fuori dal suo giardino, dalla sua biblioteca, e dai racconti della nonna anglosassone.
Sul tango Borges ha avuto le idee più diverse, si è contraddetto spesso, ha manifestato opinioni erronee, prive di fondamento. Come quando afferma che gli uomini erano costretti a ballarlo da soli per strada, dato che nessuna donna perbene avrebbe accettato di ballare una danza così disdicevole. Le donne, per strada, non ballavano nulla: né la pavana né la mazurca né il valzer né il can can. Lo scenario più all’ aperto a disposizione loro e del tango era rappresentato dal patio dei conventillos. Forse è vera invece un’ altra considerazione di Borges, cioè che questi casermoni popolari, contrariamente a quanto di solito si sostiene, non si costruivano in periferia bensì in centro, per sfruttare al massimo il prezzo maggiore dei terreni, suddividendoli.
Nell’intervista a Dante Esc6bar Plata (Buenos Aires, 1989) Borges afferma ancora una volta che con Filiberto e Gardel inizia la decadenza del tango. Su Piazzolla dice che, avendo lavorato con lui, ha potuto accorgersi che non ha orecchio. “Sordità musicale che si coniuga con la sordità poetica”. Neanche per Piazzolla fu un incontro esaltante. T!r:~avia, da questa m,”f”>ala coincidenza (o confessata in coincidenza) \,ccm
un famoso long-play introvabile (Polydor 27128, anno 1965) con Ed­mundo Rivero come cantante e l’attore Luis Medina Castro come voce recitante. Un capolavoro assoluto, Borges/Piazzolla permettendo, di cui Jacinto Chiclana* e Aiguien le dice al tango* non sono che brevi momenti di grazia.
Solo negli anni Novanta sentiremo cantare ancora le poesie di Borges, come le quartine antologiche El Tango*, musicate da Castiiieira de Dios.
7.6 La ascesa
Mario Batti stella (1893- 1968), all’ anagrafe Mario Battes Stella, nato il Verona e arrivato a diciassette anni a Buenos Aires, autore di molti successi di Gardel come Melodfa de arrabal* e di altri brani come Cuartito azul* e Bronco”, che testimoniano rispettivamente la ascesa della borghesia (dal ragazzo opaco al dottore) e il crollo delle illusioni, dove l’accusa sociale si fa più precisa, se si paragona a Discépolo.
Luis César Amadori (1902-1977), nato a Pescara, drammaturgo, regista cinematografico, giornalista, paroliere di tanghi notissimi come Rencor*, Madreselva* e Confesi6n* (scritto insieme a Discépolo), che manifestano l’aspirazione di tornare a essere ciò che si è stati, per fedeltà verso un progetto di se stessi che la vita ha corrotto.
Catulo Castillo (1904- 1976), poeta e parolicre, è anche musicista.
Come violinista e pianista, guida un complesso di tango durante una toumée europea; direttore di un conservatorio a Buenos Aires, successi­vamente presidente della Commissione Nazionale di Cultura, nel 1970 di venta segretario della SADAIC. riuscendo parallelamente a intraprendere la carriera di pugile con ottanta combattimenti. La malinconia dei suoi lesti, che si alimenta col Siglo de Oro spagnolo e i simbolisti francesi, si sposa alla musica di eccellenti compositori per produrre alcuni capola­vori del tango: La ultima curda”, Marfa*, Tinta roja* e A Homero*, dedicato a Homero Manzi.
E’ ormai chiara la presenza della borghesia nella creazione e nel consumo del tango. Il fatto riveste una notevole importanza.
Homero Manzi (1907-1951) “El Barbeta”, dalla incisiva attività politica come leader della Federaci6n Universitaria di Buenos Aires contro il colpo di stato di Uriburu, uno dei fondatori della Forja, forma­zione di sinistra dissidente dal Radicalismo, che poi sfocerà nel peroni­srno. Insegnante di lettere, sceneggiatore di importanti film argentini di tema sociale. In connubio col compositore Sebastian Piana crea una nuova tematica, fissando le costanti di una milonga-candombe dalle radici mulatte, come Milonga triste*. Nel tango, la corda intimista ed evocativa di Manzi ispira ai maggiori musicisti del momento opere di rar~ bellezza come: Barrio de tango*, Che bandoneon”, Discepolin*, Fuimos”, Malena*, Sur*, Tal vez seni su voz*.
. En~que C~dfcamo (1910), figli~ di un mag?i~rdomo di campagna, poeta sin dall adolescenza, uomo di teatro e di cmema, multifacetico, dalla lunga e attivissima vita, compie qualche breve sosta nel lunfardo, con M.u~~ca brava* per esempio, ma legherà il suo nome a brani elegiaci e sensibili come La casita de mis viejos*, Niebla del Riachuelo*, Nostal­gias*, e Nunca tuvo novio*.
José Marfa “Katunga” Contursi (1911-1972), paroliere dell’amore struggente (Cristal*, Gricel*) non presenta più alcun contatto coi temi e lo stile di suo padre Pascual, a riconferma dell’evoluzione operatasi nei testi del tango.
Dobbiamo alla passione promotrice di un ungherese-argentino, Ben Molar, l’avere radunato nel disco “Ca torce en el Tango” del 1964 i ~gliori poeti e musicisti del momento. Ernesto Sabato (1911) vi parte­CIp~ con Alejandra*, l’enigmatica protagonista del suo romanzo “Sopra eroi e tombe”, la “principessa-drago” morta nell’incendio della sua vetusta casa, un 24 giugno (come Gardel). La rimembra, sublimandola Martfn, l’adolescente che l’amava. ‘
Se per Ju~io Cortazar (1914-1984) “essere argentino è essere triste; essere argentmo è stare lontano” (come dice in una poesia di “Ragioni ?ella c?Il~ra’:), era impossibile non percorrere i sentieri del tango, anzi, l marciapiedi del tango. I “Trottoirs de Buenos Aires”, infatti, il primo local~ europeo simile a una tanguerfa rioplatense, si pregiano di avere Corta zar come socio fondatore, insieme a Edgardo Cant6n. Sulla musica composta da Cant6n per il film “Lily, aime-moi”, Cortazar scrive, a posteriori, le parole: sulla città dell’infanzia, Veredas de Buenos Aires*; 1~.nostalgiade~l:esiliato,La CruzdeISur*; l’amore, Tupiel bajo la luna*; I Impegno politico La Camarada; lo sdegno per i desaparecidos Media­n?che aqui *. Argentino nato a Bruxelles e residente a Parigi, Cortazar VIve alla ricerca di un ponte tra due sponde, simboleggiato dalla tavola tesa tra due finestre del suo romanzo “Il gioco del mondo”; ponte tra il ~ondo del Sud e quello di chi torna dall’Europa, e anche tra il passato e Il ‘prese~te (“la vera faccia si cancella come nelle vecchie fotografie e GI.an~ bifronte è chiunque di noi”, commenta Oliveira, il personaggio principale dello stesso romanzo).
Homero Exp6sito (1918), che spesso lavora insieme al fratello Vir­gilio, musicista, è il più originale di questa felice generaziredi poeti del lungo. Degno di nota l’uso peculiare delle metafore, che inciderà in maniera determinante sui testi che verranno dopo. Il simbolo invece del urcconto realistico, in Percal*. Le immagini forti: “la verità è come strofinarsi con sabbia il palato”, in Afiches*. Gli ossimori, entrati nel tilngo grazie a Exp6sito: “l’eterna e vecchia gioventù mi ha lasciato impaurito come un passero senza luce”, in quell’altissimo momento di musica e poesia che si intitola Naranjo en flor*.
Horacio Ferrer (1933), nato in Uruguay, studioso di tango, autore di rronache, prefazioni e dizionari ponderosi, promotore di un ascolto rnnsapevole attraverso puntuali trasmissioni radiofoniche, programmi televisivi e festival, fondatore della Academia Nacional del Tango a Buenos Aires, in fecondissimo binomio artistico con Piazzolla firma varie opere di grande diffusione negli anni Sessanta. Le Ballate (Balada flora un loco, Balada para mi muerte), all’apice nelle classifiche di vendita locali, sono state interpretate da figure di calibro internazionale. V i affiorano umori della tradizione poetica spagnola, da Quevedo a (iarda Lorca, al peruviano César Vallejo, ama i ritratti patetici: la fioraia Margot in vana attesa del suo François, Nina portata alla morte dal suo uomo in un estremo tentativo di redenzione, La ultima grela* che ispira in agonia un rito mistico. Nel tango intitolato Woody Allen*, del 1991, con musica di Raùl Garello, Ferrer immagina la possibilità di un gemel­laggio tra Buenos Aires e New York. Con questo brano si comincia a mettere in risalto la forte componente ebraica che si avverte nei tanghisti di questi ultimi tempi.
Héctor Negro (1934) estende la sua opera anche al genere folk, annoverando vari affermatissimi tanghi col musicista Osvaldo A vena, Ira i quali Buenos Aires, vos y yo, e Esta ciudad, e con Ratil Garello Hoy te encontré, Buenos Aires*.
Dall’ esilio, il poeta Juan Gelman (I 930) insieme al musicista “Tata” Cedr6n, anni prima delle Baladas di Ferrer-Piazzolla, creano la Balada del hombre que se callo la boca, su roventi versi di accusa alla dittatura, e un altro Mi Buenos Aires querido* dal segno rovesciato.
7.7 Sospetto di classe
Quasi alla fine della presente fatica è lecito farsi prendere da un certo sospetto. Che a lanciare il tormentone del bordello, del ruffiano, delle coltellate, del quartiere malfamato, dellunfardo parlato dai delinquenti, degli analfabeti in materia musicale, sia stato uno che, appena uscito dal
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bordello, appena scontata la pena per lenocinio o per aver sfregiato la fanciulla che lo respingeva, appena scappato via dal quartiere insalubre, appena imparato a coniugare i verbi irregolari saber e caber, appena preso a pomodorate in scena per colpa di quel tale dietro la carta pentagram­mata, ovviamente, non intende tomarci. Anzi, ne prova un vero terrore al solo pensiero.
A osservare il soggetto “coppie che ballano” nei documenti fotogra­fici d’epoca, dall’uso del cappello si può desumere, con una certa a~prossimatività, a quale classe appartengono. Se lui porta il cappello e lei no, sono della classe bassa. Se lei porta il cappello e lui no, sono della classe alta. Se nessuno dei due porta il cappello, sono della classe media.
Quelli della classe alta, abituati al potere, non temono perdere, sono sicuri di sé, hanno un naturale distacco, una mentalità aperta e proiettata I

\’\’1 so i I futuro. Possono frequentare chiunque desti la loro curiosità, per 1I1111ivi qualsiasi. Possono financo ballare con uno che porta la giacca .lucuarnente sulla canottiera e il cappello infilato fino alle orecchie (un ~1I1() hallo, beninteso). Possono. Dunque ballano, praticano, studiano, runtano, compongono, pubblicano, lasciano fare, si divertono, discutono, \’Imi l’altana.
l.a classe media. che ha appena conquistato un certo benessere, dtlfida: non sia mai che debba tornare ai posti dove era cresciuta o che qualcuno, come dice il tango Margot*, si accorga delle sue origini. Vuole parlare in modo fine e abborre illunfardo. Tra il 1934 e il 1943 «lccrcto del 717 del generale Pedro Ramfrez) consiglia i programmisti radiofonici di correggere certi titoli in lunfardo. Al posto de La Maleva, l.a Mala (mascalzona no, malvagia sì). Shusheta, no, El Arist6crata, sì. Invece di Hacelo por la vieja, Hazlo por mama (è più castigliano). Certe parole non si devono più cantare. Vento, ventolina, guita, meneguina, morlacos, fasules, grano, vanno sostituite con denaro, soldi, quattrini, moneta, biglietto bancario, oro, pecunia, in dipendenza dal contesto, dal nu mero di sillabe e dallarima. La dittatura proibisce certi tanghi di Gardel (/'(/11*. Acquaforte*) per il loro accenno allo sciopero, alla fame, ma allo stesso tempo decreta l’Il dicembre, supposta data della nascita di Gardel, il Giorno Nazionale del Tango, o addirittura il Giorno del Sorriso (scioperi no, sorrisi sì).
A metà degl i anni Trenta la classe media si impone attraverso la radio c i I cinema, avvicinandosi a quella alta tanto da confondersi, almeno nelle apparenze (piume, abiti di satin, cilindro, smoking, frac). Si impossessa del tango e imprime alla musica e ai testi un processo irreversibile. Ciò la l’endo, spiazza le al tre tendenze partite dal basso. Insieme all’ evoluzio­ne musicale e poetica, opera quello che ritiene sia un “incivilimento” gestuale: semplifica i cortes del ballo, sfoltisce le figure, ne diluisce l’inventiva. Ma le classi sono estremamente mobili, e intanto quella subalterna ha compiuto la sua scalata. Appena lasciato il conventillo, si vergogna di esserci cresciuta. E anche chi un tempo aveva dovuto strapparsi dal suo suolo natale oggi si rifiuta di capire chi compie lo stesso percorso.
La classe media preferisce cantare Vete (Fuimos*) anche se parlando dice Andate; le fa venire il latte alle ginocchia la prosa bolsa de El penado 14*; fra i tanghi cosiddetti turfistici che inneggiano i fantini e gli equini salva solo Por una cabera”, che non inneggia, ma metaforizza; i vari Victoria, Te fuiste, ja ja; Hdgame et favor, La mina del Ford, fusto el 3 J *, con la loro brava etichetta che li dichiara “tango c6mico” o “tango festivo”: le .se~brano barzellette idiote in confronto all’intelligente e leggera ironiadi un Cuando !lego al bulfn* di Les Luthiers. Nei bigliettini ~he avvol?~no .Ie zollette di zucchero Clamor (tipo baci Perugina), immancabili nel frequentatissimi caffè, fa stampare i migliori versi di Manzi, Cadfcamo, Exp6sito.
Dopo la seconda guerra mondiale i paesi del Plata vengono spostati dall’area di influenza europea a quella nordamericana. Il panorama sociale. è. mutato. E’ apparsa la mersa, quell’immensa folla di operai e contadini non proprio biondissimi, i grasas, i crostas, i cabecitas negras ~he ora premono sulle scelte decisive, insieme a quelli che stavano più m a.lto nella scala sociale. Dopo gli anni Ottanta si assiste alla proletariz­zazione, al depauperamento della classe media. Solo rimangono i ricchi e i poveri, e questi si arrabattano, anche sfruttando il tango.
7.8 Motivi scomparsi
Certi motivi letterari scompaiono insieme alla realtà che Ii ha prodotti o al gusto che li ha scavalcati. II primo ad andar via è il gaucho a fosche tinte di A la luz del candil*, e le poche tracce dell’ ambiente rurale che celebrano i signori della città, come Adios pampa mia e Nido gaucho, tendono a cancellarsi. Non più flash-back sulla periferia ancora intatta, sui cardi, i soffioni, i trifogli e i caprifogli. Nemmeno la desolazione dei luoghi (Nada*).
Il compadrito ha perduto mordente, risulta puerile dopo tutte le tragedie vissute dai paesi del Plata, e nemmeno rappresenta quella forma residua di machismo che fa paura; specie estinta, il compadrito diverte solo gli stranieri, interessa a chi cede alla mentalità turistica.
Hanno fatto il loro tempo i ritratti dissacranti di donna come Chorra, Margot*, Esta noche me emborracho”, fusto eI31*, e così pure i ritratti d’uomo ugualmente dissacranti come Serafin, guappo provato a tutto che finisce brindando da solo col latte freddo, Niiio bien, Haragdn,
Da quando si sono spente, per eccesso di longevità, le vecchie e sante mamme, si nota ancor più la mancanza dei padri nel tango, salvo rare eccezi~ni co~e Al pie de la Santa Cruz; L’assenza della figura patema, personìfìcazìone del sociale, ecco un grande tema per il futuro. L’avrà sentito così Piazzolla quando dedicava a suo padre, il Nonnino, quella perla della musica che si intitola Adios Nonino’l
Spazzati via gli epinici del fallito, i testi che trasudano frustrazione le pessimistiche lezioni dettate dal disinganno: Cambalache*, Las cua~
“1”’ tu ‘l: , Madreselva*, Vira yira*. Di fronte alle inimmaginabili prove di l’t’sìslcnl:a che la realtà dei paesi ha fatto scoprire, anche gli accenni al Mlllddio sono ormai privi di senso (Afiches*, Cafetin de Buenos Aires*, “”,Ita fioche me emborracho”, Infamia”, Secreto*, Tres esperanzas, r”‘f/IfJOS viejos*).
7.9 Il tic del coraron
Il cuore è onnipresente, come in tutte le canzoni del mondo. Anche ne Il e migliori pagine di tango, anche in quelle più moderne, troviamo, ).’l’neralmente tra la strofa e il ritornello, un verso che sembra una coazione a ripetere, un tic: “en mi pobre coraz6n”. La maggior parte delle volle (basta sfogliare una qualsiasi raccolta di testi) il cuore si presenta come una soluzione di comodo, per ragioni di rima: Cuesta abajo*, Nada*. Talvolta il cuore assume illimitate valenze simboliche (Al com­pli.\’ del corazonr) oppure è l’organo muscolare cavo (in senso cardiolo­gico) dell’amante della moglie, messo nella valigia ed esibito come reperto anatomico dal marito omicida, in un’immagine iperrealista che invano la censura ha cercato di eufemizzare (A la lu: del candil*). Ispira tenerezza se gli si dà il nome i taliano: “Tengo una esponja donde el cuore hay que tener” (Si soy asty; e provoca inondazioni di affettività se lo si immette in un discorso cocoliche “Senza casa y senza amore siento un frfo aquf l’n el cuore que me piena de ansiedad” (O Sole mio). Si sanguina e ci si dissangua spesso e volentieri (Afiches*, El corazon de tu violin”, lJno*). La macchia rossa sul campo grigio del passato può diventare crudo salassa (Tinta roja*). O qualcosa di zurdo, di mancino, si muove come un gregge verso il lato sinistro del petto (La ultima curda*).
Bisogna però riconoscere che ogni volta che Gardel canta “en mi pobre coraz6n” sembra che sia la prima, e viene voglia di chiedergli il bis.
7.10 Temi e motivi rimasti
La città, costruzione di Caino, sede della sua discendenza, che can­cella il fiorito quartiere dell’infanzia, che rovina la donna, che provoca la maledetta metamorfosi, è uno dei grandi temi rimasti. Marciapiedi, strade, toponomastica, manifestazioni del fenomeno di inurbamento che ha visto nascere, vengono registrate dal tango, a confermare la sua tipologia di folklore cittadino. Da La canci6n de Buenos Aires* aAnclao ~n Pa:-fs* che nomi~a la diagonale e l’obelisco appena costruiti, il tango e un Inno alla capitate argentina: Mi Buenos Aires querido*, Hov te
encontré, Buenos Aires*, Mi ciudad y mi gente*. .
Contenitrice di ogni cosa, magnanima, positiva, ora però la città ha conosciu~o la vergogna della tortura e l’immane tragedia dei desapareci­?os, c~e Il t~llgo annota in termini allusivi: una memoria oscura ripassa I propn morti: La Croce del Sud*; attonito, non riesce a farsi unaragiolle:
E.I ‘~liedo de vivir», Mi ciudady mi gente*, Medianoche aqui”, E’ tempo di nplasmare un altro Mi Buenos Aires querido*, che insegni a rimanere ~ a resiste~~. E un Montevideo* che parli obliquamente della diaspora di rioplarens: JIl cerca di scampo, tramite la cittadinanza salvifica, invocan­do la nazionalità dei genitori o dei nonni. Non più i porti e le navi (Mariana zarpa un barco * , Niebla del Riachuelo *), ora è l’aereo il mezzo del loro errare, ma l’aereo non ispira canzoni.
Nel 1984 un’aria di democrazia investe i paesi del Plata, con Rauì ,,?-lf~)Jl~fn a capo dell’ Argentina e Julio Marfa Sanguinetti in Uruguay. Si npnstìnano le speranze, tornano gli esiliati, un’alternativa urgente si pone: dimenticare o ricordare. Ed è sempre nel tango, amato a oltranza come la città, che troveranno rifugio contro l’inspiegabile follia del mondo.
Altro tema che si consolida è quello dell’amore, percepito come sentimento che implica una menomazione, un cedimento nei confronti di se stessi. Canzone degli amori fragili (Cristal*. La lur de unf6.~foro*, Las Mareados*), degli amori postumi, sempre in ritardo, sfasati, su treni rigorosamente incoincidenti (Gricel*, Uno*, Ahora no me conocés”, Qué me van a hablar de amor). Amori senza sbocco, falliti; temuti, poiché non si distinguono dall’odio (Rencor*). Lui la trascina giù (El Patotero sentimental*) ma, in virtù della Nernesi, lei fa di lui un ladro, un baro, un barbone (Secreto*). L’uomo rimprovera la donna di essere cambiata, di essere infedele al suo stesso passato (Mano a mano*, Margot*, Maquillaje*). Del percalle, la cotonina a buon mercato dei suoi vestiti da ragazza, l’uomo ha fatto un suo feticcio (Che bandone6n* Margot*, Siempre Parts»; Percalrv; simbolo di tempi incorrotti. Per s~lvarla dalla disgregazione, la maltratta (Confesi6n*). Oppure, entrambi trmcerati, nello stillicidio mutuo, capiscono che amarsi è infierire l’uno sull’altro, e che la sola via di uscita sta nel lasciarsi (Fuimos*). Accan­tonarsi nel passato, ecco il modo di possedersi per sempre, magari in uno scenario di vicoli e lampioni, come in un tango (Yuyo verde*). Fa eccezione Tu piel bajo la luna * , forse l’unico nudo di donna che emerge
Ili rido, pronto all’ incontro eterno della coppia, al di fuori dalle coordinate suburbane, urbane, spaziali e temporali.
Il tango continua ad agire in regime notturno, Lo favorisce la pioggia. associata alla malinconia e al pianto. Una luce ~rigia imbeve! suoi personaggi. Grigio è il suo colore, colore di frontiera, colore del capelli dell’età propensa a voltarsi indietro, colore del vestito sofferto, non impegnativo, colore che pàtina i muri della città. Toni grigi dei paesaggi fumosi all’interno del caffè, grigiore del tedio.
Più della città e dell’amore, il tema suo specifico è il tempo, che lo ricollega alla letteratura universale. Il tempo concepito come traiettoria irreversibile. E’ un soffio la vita, vent’anni non è niente (Volver*). Consapevoli della fine di ogni cosa, si vive dei postumi della gioventù. Ci si rifugia nel tempo assoluto dove l’oggi coincide con l’ieri. Si I i manda ogni situazione al passato (Los mareados*) e si dichiara che tutta la vita risiede nell’ieri (Naranjo enflor*). Non è mai tardi per abbando­narsi a quell’ operazione di pura inventiva che si conosce come subli ma­/ione del passato.
Tra i fatti del mondo che cambiano, deludono e tradiscono, uno dei peggiori è il proprio decadimento biologico. La vecchiaia improvvisa piomba sulla donna, riflessa negli occhi dell’uomo, in contrasto con l’immagine di incontaminata freschezza ferma nel ricordo (El Motivo, Esta noche me emborracho”, Moneda de cobre”, Recuerdo malevo, Tiempos viejos*, Vieja recava), Ma anche lui ha i I coraggio di guardarsi allo specchio (Volvi6 una noche*), Anzi, sì è sempre visto vecchio, a trent’ anni (Barrio reo), a quaranta, bianca la testa, vecchio il cuore (Acqllaforte*), tempo fugit, come fugge la vita, come brontolano gli anni (Conio se pianta la vidai. Non resta che rinchiudersi nel bossolo protet­tivo del ricordo, anche se il tempo arriva come un esattore a chiederne conto, uno dopo l’altro, in fila, (Mi Buenos Aires queridov i,
L’uomo, qualcuno ha detto, è l’unico animale capace di rendere presenti le assenze. E il tango, rito rimuginante, tenta di riscattare dall’oblio le morte stagioni. Si domanda, come Orazio, come Jorge Manrique, come Vietar Hugo: ubi sunt? Vecchi tempi, carovana fuggi­tiva, dove siete? (Recuerdo malevo). In quali regioni di neri gerani ti trovi, oh morta principessa? (Alejandra*). Dov’ è il mio rione, culla mia cara? (Puente Alsina). Quartiere tango, luna e mistero, strada lontana, dove sarai? I vecchi amici della mia infanzia, che ne è di loro? Dove saranno? tBarrio de tango”, Palais de GIace). Dove sarà il mio sobbor­go? In quale cantone, luna mia, lasci cadere come allora la tua chiara allegria? (Tinta roja*). Dov’è finita la mia garçonnière di latta, testimone del mio amore e del suo tradimento? (Viejo rinc6n).
Vena dolente di chi si guarda indietro, e il ricordo cresce in ragione inversa alla distanza. Coniugare tempo e distanza, in cerca di altri cieli (Los Pajaros perdidos*), pur sempre governati dalla Croce del Sud (Madame Yvonne”, La Cruz del Sur*). Paesi di immigrati si trasformano in paesi di emigrati. Paesi che accoglievano i perseguitati del mondo, scacciano i loro stessi figli. Personalità malinconica dell’emigrante, dell’esiliato, che conserva una parte di sé inguaribilmente straniera. Il ritorno è l’unica sua prospettiva concreta. Tornare è il suo verbo, e tornare continua a essere il verbo chiave del tango. Tornano o non tornano le navi (Mal1ana zarpa un barco*), tornano i volti e le voci fantasmali (Tal vez sera su voz*), ma è certo che il tempo antico e la gioventù non tornano più. E nemmeno loro stessi torneranno, lo sanno già, mai più (Cristal*).
Solo la musica del tango e questi suoi temi esistenziali possono spiegare la contiguità fra Gardel e Piazzolla, Fresedo eSosa, Lamarque e B lazquez; e, d’altra parte, fra Le Pera, Exp6si to e Discépolo, Cadìcamo, Cortazar e Borges.
7.11 Mai dire ultimo tango
Tornano in auge, ciclicamente, i templi del liscio, dal gusto old fashioned, un po’ kitch. In essi si pratica una liturgia di altre epoche e latitudini. I giovani non vi accedono volentieri; abituati ai meridiani anglosassoni della musica, si sentono respinti da una sorta di differenza orario, un incolmabile jet lago Questi templi agiscono da antidoto nei confronti di una società che fa l’apologia del presente, che inse~u~ il benessere costi quel che costi, che ripristina la sua facciata di allegna c~1 sorriso cheese o whisky, che considera il tempo come un~.categor~a soprattutto economica. Il tango va consumato esatta~ente nel! interludio tra la mancanza e la pienezza, essendo una forma di sopravvivenza, u?a Il:aniera di riconoscersi e rappresentarsi, di eso~c~zz~re”,la nostalgia, l’abbandono, il senso di estraneità. Una delle condlzlon~ pl.U. st~alunate e poetiche della cultura latinoamericana, della c~ltura~ell.eslho /Il g~nere, della cultura pronta a nuove ibridazioni e acchmatazlo~I,. che ~on,tmua t compiere una sorta di resistenza umana, istallandosi m chissa qua I sobborghi dell’ anima.

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